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Quelle facce che non vedremo più

Pecoraro Scanio

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Qui ci vorrebbe Diaz: «I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». Eccoli lì, sbandati, laceri, intronati: hanno fatto appena in tempo a ficcare nella bisaccia due tartine di lompo (credono sia caviale, non disilludiamoli), una fiasca di acquavite, la penna con lo stemma della Camera, l'elenco dei parlamentari della "Navicella": hai visto mai qualche brigante li fermasse. «Lei non sa chi ero io!», e magari li fanno passare senza fregargli l'ultima button-down, il residuo frescolana senza toppe, i mocassini non più lisciati con l'olio di coguaro. Sanno che non potranno riparare a Capalbio, divenuta zona infida e presto spianata da un'Aurelia quadruplicata, né in Val di Susa, dove i treni dell'alta velocità li travolgerebbero. Non mette poi conto di fuggire per lo Stretto: finirebbero impastati nella prima colata di cemento nei piloni. Eccoli, i caduti e i dispersi della guerra del Cachemire, nuovi apolidi della Terza Repubblica. Legioni verdi, rosse, nere di mangiatori a sbafo e parolai professionisti in un Paese che rovista nei cassonetti. Spazzate via le ali estreme, nessun rispetto neppure per i vecchi condottieri. Come quel De Mita portato via di peso sulla sedia dopo mezzo secolo di Montecitorio: del resto, una volta l'interlocutore socialista era Craxi, ieri solo Boselli. Eccoli più a sinistra, orfani di uno che si chiama Migliore ma che non è Togliatti, di un altro che di cognome fa Caruso, ma quando alza la voce stona sempre, e sopratutto del subcomandante Fausto, quello che un tempo così rispondeva a chi lo accusava di essere un oratore criptico: «Avete mai provato a leggere qualche pezzo dell'Ordine nuovo di Gramsci? Perché essere semplici? A forza di esserlo, si diventa banali e quindi oscuri». Non che i sabotaggi bertinottiani ai governi di sinistra fossero esempi di chiara strategia, ma tant'è. E a volte, dove non arrivano le parole, occorrerebbe lavorare sul look mediatico. Fabio Mussi, per dire, continuava a dirsi sincero progressista, e tutti gli guardavano i baffetti e quella frangetta obliqua. Servivano messaggi inequivocabili. Spiegava Vladimir Luxuria: «La verità è che le nuove generazioni di trans sono abbastanza morigerati anche nell'abbigliamento». Tanto è vero che Elisabetta Gardini capì come stavano le cose solo quando la/lo vide in piedi, nella toilette di Montecitorio. Altra cosa è quando si va in discoteca, lì ognuno si veste come crede: l'autoproclamatosi "liberosessuale" Pecoraro Scanio lo trovavi a volteggiare in camicia a e cravatta, mica mascherato da Platinette. E allo stadio? Aveva capito tutto Paolino "Er Piotta" Cento. «Lì la sinistra va in tribuna d'onore, ecco perché le curve sono diventate di destra». Mai perdere il contatto con il popolo, ammoniva dall'altra parte della barricata Teodoro Buontempo. Che infatti, dopo una vita in periferia che neanche il primo Ramazzotti, è finito trombato insieme a Storace e alla candidata premier Santanché. Quella che, nella notte della sconfitta, si è trovata a spiegare al figlio perché mantenesse il buon umore: «Abbiamo un milione di persone che credono nella mamma, e la mamma non ne deluderà neppure una», ha detto la signora, senza più indugiare sul leit-motiv virtuoso della sua campagna elettorale.

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