E Gianfranco diventa l'uomo delle riforme
Insomma, la costruzione dell'Italia del futuro. Alle spalle ormai la «fase-1», la preparazione della lista unitaria del Pdl, che ha vinto alle elezioni e guiderà il Paese con un programma condiviso dalla maggioranza della società (che la sinistra con formule astratte e analisi retrodatate, non riesce più a capire), e formati i gruppi parlamentari unitari; la «fase-2» consisterà nel varare realmente il Pdl, riempirlo di contenuti, attraverso un processo costituente che prevede, per An e Fi, congressi di scioglimento. Congressi di morte e rinascita che andranno preparati bene. E nel contempo, questa legislatura sarà altrettanto costituente, per arrivare finalmente alle riforme costituzionali: esecutivo forte, fine del bicameralismo perfetto, federalismo solidale e alternanza tra «partiti-progetto» (identità plurali che si incontrano nel nome di nuove sintesi), mandando in soffitta i «partiti-ideologici», legati a una visione museale e meramente testimoniale (la rappresentanza senza governabilità) dell'identità. Per tali ragioni il ruolo di Gianfranco Fini, nella qualità di presidente della Camera, sarà altamente strategico. Con le sue dimissioni ha dimostrato concretamente (scommettendo su se stesso) che le idee camminano sulle gambe degli uomini e non si possono fermare ai contenitori; ha dimostrato che An non era un partito-chiuso, ma un patto aperto, in movimento, un viaggio da Fiuggi al Ppe. Oggi, infatti, la cultura e la politica di destra sono diventate culture e politiche istituzionali e di governo. Il cuore dei congresso di Fiuggi (l'incontro tra la tradizione post-missina e i filoni liberali, nazionali, conservatori e cattolici) è il cuore del Pdl (identità, modernizzazione, diritto alla vita, nuova cittadinanza, sicurezza). E il senso di patria, difeso solo dalla destra negli anni Settanta, è patrimonio della gran parte degli italiani. Insomma, grazie ad An la destra si è fatta patria per rifare la patria. Pdl e Terza Repubblica quindi, per uscire dalla Palude. Un obiettivo che non può essere ritardato. Gianfranco Fini alla presidenza della Camera, Gianni Alemanno da sindaco di Roma, Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi dovranno essere all'altezza del loro compito, ciascuno ovviamente per le proprie competenze e possibilità. Vincendo soprattutto la sfida culturale (in primis, la battaglia delle parole) contro una sinistra nostalgica, ideologica, anacronistica capace soltanto, quando perde alle urne, di reiterare all'infinito lo «schema cileno» (lo si è visto anche a proposito del presunto accostamento tra l'episodio di Verona e quello di Torino): la piazza «democratica e antifascista» contro il fascismo di ritorno. Spettri evocati da chi non ha più nulla da dire e da dare.