Berlusconi Quarto. Giura il nuovo governo tra scherzi e austerità

Benvenuti nell'era del Berlusconi Quarto, il governo più veloce del secolo, realizzato da un premier potente come un microprocessore di ultima generazione. Che poi durante la cerimonia suda, sbuffa, si mette la mano dentro al Caraceni, come colto da una napoleonica gastrite. Alla fine si spazientisce quando i fotografi insistono per uno scatto con le ministre, in particolare con la Carfagna, quella che pubblicamente aveva detto di voler sposare. Il Cav pensa a Veronica e dice: «No, grazie». Altrimenti la moglie cambia la serratura a Macherio. Ma è lui che porta le ragazze, nel Salone delle Feste. È qui il party con il tappeto rosso, mica all'Auditorium. Tutto più sobrio, ovvio. Loro, le «Silvio's Angels», non vogliono farsi parlare dietro e arrivano compatte in tailleur pantalone. Neanche una caviglia scoperta: di nudo solo le dita (laccate) dei piedi di Mara, magnifica in un Armani color ghiaccio. Black style con camicia bianca e croce sul petto per Maria Stella Gelmini: scelta austera e vagamente perversa, come conviene a una Ministra dell'Istruzione. Giorgia Meloni fa dondolare una borsetta Burberry's, mentre il suo abito, beige carico, fa più bancarella, e per questo simpatia. Mistero sul colore della mise dell'interminabile (nel senso dell'altezza) Stefy Prestigiacomo: si teme il viola, ipotizzano il prugna, finché il portavoce sancisce che è un «blumarine» griffato Biani. Meno male, perché la scaramanzia è d'obbligo, per un Governo che dovrebbe durare più di un mutuo, ma che esaurisce la sfilata dei neoministri davanti al capo dello Stato quando l'orologio batte le 17 e 17. Di viola ci sono già le cravatte (di una sfumatura lirica, esangue) di Sandrone Bondi, e quella di una tinta più virile di Frattini. Quanto all'emozionatissimo Maurizio Sacconi, l'accessorio che porta annodato al collo è scuro, ma la fantasia del disegno è criptica ed esotica come un codice miniato turco. I leghisti sfoggiano il verdume d'ordinanza, tra pochette e cravatte. Ma se quella di Bossi è di una nuance pallida, patita come l'Umberto post-malattia, Calderoli sfoggia il solito abbaglio elettrico, che neanche una berlina tedesca anni Settanta. Il Robertone padano stilla sudore come un boscaiolo del Brenta, e confessa a mezza voce che nel rinfresco post-giuramento di vino c'era solo un «pro-caldo». Ma a quel punto il rigore dell'evento era già evaporato tra le bollicine dei flute. Prima, davanti alla Costituzione e a Napolitano, in tanti si erano incartati, veterani e deb: il primo (finto) dissidio del nuovo esecutivo coinvolge Ignazio La Russa e Berlusconi. Quando arriva il momento solenne, il neotitolare della Difesa tende la mano al premier, che gliela rifiuta sorridendo e indica «l'onor del mento». L'altro si confonde al punto che dimentica di firmare, mentre Napolitano capisce tutto in un guizzo. Tra i due membri del governo c'era da onorare una scommessa in caso di larga vittoria elettorale, ma La Russa non s'era più tagliato il pizzetto. «L'ho accorciato al massimo, di più non avrei potuto, mi aspettano gli alpini». Frattini si impappina, a sorpresa, mentre legge la formula del giuramento, e pare un cantautore cui faccia le bizze il microfono. Scajola toppa l'ultima parola, e invece di «nell'interesse esclusivo della Nazione» pronuncia «Italia». Il pio Ronchi si fa il segno della croce, la Meloni ciondola sulle gambe, Prestigiacomo si scosta vezzosa la chioma. Bossi è un epos a parte: a lui Supersilvio riserva, più che una stretta di mano, un «cinque» vigoroso e men che protocollare, come due amici pescatori sorpresi di aver preso una carpa nel Lambro. Umberto gli soffia un «grazie presidente» che chiude definitivamente il tempo delle passeggiate in canottiera e apre quello del patto federalista. «Sulle riforme non basterà un referendum a fermarci», ricorda infatti poco dopo il Senatur. Che parla ai giornalisti perché l'alleato non faccia orecchie da mercante. C'è la sua famiglia per la prima volta al Quirinale, figurarsi se Bossi si scorda certe richieste. Poi i primi frammenti di lavoro: Maroni annuncia che «lunedì o martedì ci sarà il primo vertice sulla sicurezza», Scajola rassicura sul ponte sullo Stretto, Sacconi (che non dimentica Marco Biagi) promette che «la priorità è la detassazione degli straordinari per i dipendenti», il boscaiolo Calderoni ripete che il suo compito sarà «tagliare, tagliare, tagliare» una catasta di diecimila leggi. A sera, tutti a Palazzo Chigi. Dove Prodi aspetta Silvio per la cerimonia della campanella e lo invita a «proseguire la lotta all'evasione». Poi Romano bacia la moglie Flavia ed esce. Torna ad essere un professore con la «p» minuscola. Al suo posto, di nuovo Supersilvio. Con la «esse» da eroe volante.