Legislatura al via in un clima bipartisan
Non lo è. E la domanda un po’ lo stizzisce pure. Il «Ciarra» resta laconico anche quando «commenta» l’assenza di Scalfaro: «Non è venuto? Ha fatto benissimo...», sottolinea l’editore approdato a Palazzo Madama con il Pdl mentre sorseggia un caffè alla bouvette in compagnia di Domenico Gramazio. Sono le 10,45 e la seduta è sospesa. A presiederla finora è stato Giulio Andreotti, che ha sostituito l’ex capo di Stato, convalescente dopo un intervento chirurgico e, a sua volta, «sostituto» della neonovantanovenne Rita Levi Montalcini. La più anziana parlamentare italiana gli ha ceduto volentieri lo scranno più alto, per poche ore occupato dal presidente provvisorio prima di accogliere quello definitivo, che non è certo una sorpresa: tutti sanno che sarà Renato Schifani. A fianco del «divo Giulio» ci sono invece i sei senatori più giovani, chiamati ad esercitare la funzione di segretari. I commessi indossano l’abito delle grandi occasioni, un frac, al collo un papillon bianco e lungo le spalle una catenina dorata con «medaglietta» che scende sul petto. La maggior parte di senatori e senatrici ha scelto l’abito scuro o comunque colori pacati, a parte alcuni, come la radicale Bonino in giacca rossa, l’ex vicesindaca del Pd Garavaglia (giacca a quadri bianco-neri), la leghista Mauro in tailleur color acquamarina, e la teodem Baiadossi (cardigan dorato). Altra eccezione, doppia in questo caso, è Calderoli, che rinuncia per una volta al verde Carroccio e porta una sgargiante cravatta arancione. Tra i debuttanti dell’Aula, oltre a Ciarrapico e ai deputati traslocati in Senato, anche il governatore della Lombardia Formigoni. Come il suo «collega» Galan, presidente della regione Veneta, che ieri si è dimesso da senatore, l’inquilino del Pirellone ha rinunciato al suo scranno romano ma forse non ha voluto rinunciare al «brivido» del primo giorno di scuola. Nel centenario della sua nascita Andreotti ricorda Amintore Fanfani, che ha presieduto a lungo il Senato e, a differenza di altri, non nasconde la propria emozione. Non per il presente, ma per il passato: 60 anni orsono, spiega, «ho avuto il privilegio di assistere alla prima seduta come sottosegretario». Per il resto, rimanendo nel campo dei sentimenti apparenti, è naturale che dopo il responso elettorale l’emiciclo sia diviso in due non solo per appartenenza politica: a destra molti sorrisi, a sinistra volti non certo giulivi. Ma per quanto riguarda il clima, la novità è meno scontata. La sedicesima legislatura s’inaugura, infatti, nel segno di quello bipartisan. Si comincia poco dopo le 11 con una vigorosa stretta di mano fra il papabile ministro Calderoli e l’ex capo dello Stato Ciampi e la Montalcini, finiti spesso nel mirino dell’opposizione per il loro ruolo di sostegno a Prodi. Si prosegue con l’atteggiamento nei confronti di Rutelli, «fresco» di sconfitta alle comunali capitoline. Il mancato sindaco di Roma, subito circondato dai Democratici che lo «consolano» per la batosta del ballottaggio, saluta con la mano aperta Andreotti prima di infilarsi nella cabina che sembra la sezione coperta di un piccolo ponte veneziano e di uscirne con la scheda da depositare nell’urna. Quindi passa davanti ai banchi del centrodestra per riconquistare (almeno) la sua poltrona nell’aula. A questo punto, memori di sberleffi e insulti, molti si aspettano come minimo qualche brusio di commiserazione per il perdente. Invece i vincitori si dimostrano «clementi» e non sono isolati gesti di solidarietà verso il vicepremier uscente, che incassa strette di mano e pacche sulle spalle dagli esponenti del centrodestra. Terzo esempio indicativo della nuova atmosfera «pacificata», lo scambio di affettuosità fra Schifani e Finocchiaro. Lui la cita nel suo discorso, sottolineando la sua estrema correttezza nei panni di capogruppo della maggioranza. Lei, incrociando nel Transatlantico il compaesano di ritorno dal bar (il primo appuntamento istituzionale al termine della sua prolusione è con un succo di frutta), lo saluta calorosamente con un bacio sulla guancia e un «grazie davvero». E, quarto, il riconoscimento dell’equilibrio del suo predecessore Franco Marini. E squisitamente bipartisan sono le ovazioni che Schifani riceve quando cita i martiri di Nassirya e poi Falcone e Borsellino. I senatori si alzano in piedi e applaudono. «Viva il Senato, viva l’Italia», conclude il nuovo presidente. Sono le 13,10. La seduta è tolta.