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Fabrizio dell'Orefice [email protected] Lo chiamano ...

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La sua vita è fatta a zig zag. È stato un militante di destra, poi si è allontanato, ha fatto pubblicità, i libri, direttore editoriale della Vallecchi, al timone della fondazione Valore Italia per il made in Italy, infine «richiamato in servizio» da Alemanno per una campagna elettorale che sembrava disperata. Lui corregge: «Non è vero. Siamo partiti per vincere». Be', insomma. Il Pdl ha trovato il candidato ai tempi supplementari... «Ma poi siamo partiti e abbiamo vinto». C'erano trenta punti di svantaggio, quindici anni di governo della sinistra. Come è stato possibile? «Piccola premessa. Bisogna che ci siano due condizioni: il prodotto e la richiesta del mercato. Nel nostro caso c'erano tutt'e due e siamo stati bravi nel far combinare le due cose». D'accordo, ma come? «Ripeto, abbiamo corso dal primo metro per vincere. E tutta la campagna, tutti gli strumenti, sono stati orientati per vincere». E siamo ancora sul vago, scendiamo nello specifico. Come avete fatto ad invertire la tendenza? «Allora le spiego. Abbiamo diviso la campagna in due momenti. Nel primo l'obiettivo era andare al ballottaggio. E per farlo non dovevamo solo guadagnare consensi ma dovevamo toglierli all'avversario». E siamo alla domanda iniziale: come? «Attaccandolo sul suo terreno, andando a rubargli i voti sui temi sui quali era debole, più fragile». Per esempio? «Per esempio la cultura. Si capiva che c'era un malcontento di base. E abbiamo provato ad attacare. Prima con una manifestazione al Valle con Gregoretti. Poi la svolta è arrivata quando abbiamo aderito all'appello per la la bellezza promosso da Alain Elkann con la fondazione Rosselli. Lì abbiamo capito che si stava sgretolando tutto». Solo sulla cultura? «No, poi siamo passati al sociale. Altro terreno tradizionalmente di sinistra. E la risposta è stata eccezionale. E poi c'è stato un altro elemento che considero fondamentale». Quale? «I blog. Abbiamo usato il nostro ma anche tanti blogger che ci hanno aiutato. Abbiamo aggredito la rete. Ecco, sa qual è stata una delle mosse vincenti? Eravamo più avanti, più moderni, più innovativi dei nostri avversari». E la sinistra? «Ha riproposto un candidato debole, fiacco. Il furbacchione, il superficiale, insomma er piacione. Veniva percepito così». Finora era stato vincente. «Perché i romani si fanno scivolare tutto addosso. Sopportano. Anche se la città è sporca, ci sono le buche, è insicura. Nella prima parte abbiamo fatto capire che Roma poteva cambiare. Lo slogan era "Roma cambia", e non cambia Roma. E abbiamo intercettato il voto di protesta, quelli che volevano dare un segnale». Dopo il ballottaggio s'è aperta un'altra partita. «Abbiamo fatto capire che si poteva cambiare pagina. Nessuno ne poteva più di quel sistema di potere, una cappa sulla città. Roma, nella sua storia, ha dimostrato che se insoddisfatta ben volentieri dà un calcio al potente di turno. E nel secondo turno il messaggio è stato "Alemanno si fida di te". Diamolo 'sto calcio. La città ci ha seguito». E ora? Farete tabula rasa di tutto? «No, cambieremo quello che non funziona». La festa del cinema, per esempio? «È una passerella per vip a cui la collettività paga gettoni da 200mila euro. Ne faremo un festival con un sistema competitivo». E l'auditorium? «Funziona ma non deve ammazzare altre realtà come il Teatro dell'Opera. E poi vogliamo valorizzare Roma come città dell'arte. Da noi vivono i dieci migliori artisti contemporanei. Da Lombardo a Kounellis, da Ceroli a Cucchi. L'arte si apra, anche con le scuole». Quale sarà la prima decisione? «Tocca al sindaco. Mi aspetto una città più pulita, più ordinata, più sicura»

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