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La Cgil si processa: «Sottovalutati tutti gli allarmi»

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Fenomeni facilmente prevedibili da un centrosinistra più attento, e non portato a minimizzare una situazione già evidente all'indomani dell'incerta vittoria di Prodi nel 2006. È vero che la Lega dalla sua comparsa sulla scena politica, «in cui - ricorda Nicoletta Rocchi, della Segretaria Nazionale Cgil - veniva data come formazione transitoria, localistica, protestataria contro la Prima Repubblica che andava a pezzi sotto i colpi di Mani Pulite, anti-centralista e destinata a sparire presto», ha avuto andamenti altalenanti, con picchi al 10,4% (1996) e più modeste performance del 3,9% (2001) insieme alla CdL. Ma suscita stupore lo straordinario recupero in appena due anni che gli ha fatto raddoppiare i consensi anche per la guida di 200 comuni di piccole e piccolissime dimensioni. A dare l'allarme sono state solo voci isolate, come Valeria Fedeli, Segretaria nazionale dei tessili Cgil, che già 10 giorni dopo il voto del 2006 avvertiva come «la vittoria di stretta misura consegnava un'Italia da imparare a conoscere e interpretare se chi produce, lavora o è pensionato, nonostante il peggioramento delle condizioni economiche, ha consegnato il Nord alla CdL e non ha votato per il centrosinistra». Tesi confermata dalla Ricerca Ires-Swg e Istituto Cattaneo pubblicata nel dicembre 2006, che evidenziava come nel Nord del Paese la CdL non solo afferrava i tre quarti delle professioni autonome, ma otteneva la maggioranza dei voti fra i dipendenti privati e riduceva il distacco nelle preferenze dei dipendenti pubblici. Per non parlare dello studio datato 1993 dell'Ispo di Mannheimer, che registrava fra le tute blu lombarde la preferenza del 47,6% per il PdS di Occhetto e subito dopo per la Lega con il 41,8% mentre solo il 32,1%. optava per Rifondazione. Allarme ignorato. «Il Governo, col piglio di chi ha vinto e non pareggiato - chiosa Rocchi- ha adottato misure draconiane per risanare i conti senza gradualità, anziché alleggerire il carico fiscale, sostenere i redditi più bassi e adottare misure per le imprese esposte alla competizione internazionale». Un centrosinistra che non cerca di incardinarsi nel lavoro dipendente dei nuovi lavori o presta attenzione ai ceti autonomi più moderni e dinamici che in un misto di innovazione economica e tradizionalismo sociale si attaccano alle ricette leghiste del federalismo fiscale e della sicurezza, perché ne rassicura le ansie e le paure, e non si affascinano ai temi elitari della sinistra, come i Dico. Risultato? Il 14 aprile per la sinistra è stata una disfatta annunciata.

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