Alberto Di Majo a.dimajo@iltempo.it Bruno Musci non si ...
Fa il meccanico, ha 53 anni, è l'uomo che tre giorni fa, a due passi dalla stazione La Storta, ha salvato la vita alla studentessa accoltellata e violentata da un romeno. Quello che ha chiamato i carabinieri e gli ha indicato il posto, «l'angelo custode» descritto dalla giovane africana. Come è andata l'altra sera? «Erano le 22, stavo in macchina con un mio amico, Massimo, avevamo riaccompagnato a casa mio figlio che abita sulla Cassia, e stavamo tornando a Ponte Galeria. Dovevo scendere dall'auto per fare pipì. Il mio amico si è fermato ma ho visto che c'era un signore che stava portando a spasso il cane, così sono risalito e siamo andati avanti. Poi in un posto isolato sono sceso di nuovo. Lì ho visto un uomo e una donna, lui la teneva stretta, lei aveva solo reggiseno e mutandine. Ho pensato che fossero fidanzati, ho anche detto "Scusate, devo fare solo pipì". Poi la ragazza ha urlato e ho capito». E cosa ha fatto? «Sono risalito in macchina e ho preso il telefono per chiamare il 113. In quel momento abbiamo incontrato una pattuglia dei carabinieri, li ho fermati, gli ho spiegato quello che avevo visto. Sono salito in auto con loro e siamo tornati vicino alla stazione. I carabinieri sono intervenuti subito, il romeno ha tentato di scappare ma l'hanno preso. Io ho cercato di tranquillizzare la ragazza, ho visto che aveva una ferita profonda sulla pancia. Forse se me ne fossi fregato sarebbe morta». Ma il romeno le sembrava ubriaco o sotto effetti di droghe? «Ci ho pensato parecchio anch'io. Quando sono sceso dalla macchina l'ho visto abbastanza bene, anche se le uniche luci erano quelle di un cantiere a poca distanza. Non mi sembrava ubriaco o altro, un ragazzo normale». È andato a trovare la ragazza in ospedale? «È stata una coincidenza. Sono andato al San Filippo Neri perché hanno ricoverato il fidanzato di mia figlia. Poi qualcuno mi ha fermato e mi ha chiesto se sapevo a che piano si trovasse la stanza della studentessa africana aggredita a La Storta. Allora ho capito che avevano portato qui anche lei e ho chiesto di poterla incontrare ma non è stato possibile». L'hanno definita un eroe. Ci si sente? «No, assolutamente. Ho fatto soltanto la cosa giusta e sono contento che la ragazza sia ancora viva. Vorrei che questa vicenda insegnasse qualcosa, soprattutto che ognuno di noi deve vigilare su quello che accade e non fare finta di niente. Queste cose non devono più succedere. A dirla tutta ho solo un po' di timore, non tanto per me ma per i miei cinque figli. Questi delinquenti stanno in carcere pochi giorni, poi magari te li ritrovi sotto casa». Questa esperienza la cambierà? «No, io sono fatto proprio così. Già un anno fa ho soccorso un signore che aveva avuto un incidente stradale e aveva un infarto in corso. Ho chiamato l'ambulanza e, grazie all'intervento dei sanitari, è ancora vivo. Ma non ho detto niente a nessuno. Trovo che comportamenti di questo tipo siano normali. Se mi trovassi in una situazione del genere mi piacerebbe che qualcuno facesse come me». (Foto Forzano/GmT)