Prodi sbatte la porta del loft e dà uno schiaffo a Walter
Uno, uno solo però, paga per tutti: Romano Prodi. In fondo era chiaro che sarebbe finita così. Basterebbe citare le parole pronunciate dal segretario il giorno dopo la debacle delle urne: «Ha pesato il giudizio verso l'esecutivo. C'era un'obiettiva difficoltà tra la maggioranza di governo e il Paese». Come a dire: ringraziate Prodi per la sconfitta. Parole che non hanno certo fatto piacere al Professore, a New York per il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Purtroppo il fuso orario può giocare brutti scherzi. Così, mentre in Italia Silvio Sircana faceva di tutto per smentire le dimissioni dell'ex premier da presidente del Pd, oltreoceano Prodi confermava (e spiegava che i suoi collaboratori non ne sapevano niente). Un vero e proprio schiaffo a Veltroni non tanto per la notizia che era nell'aria da qualche giorno, quanto per la modalità. Prodi ha infatti spiegato di aver inviato una lettera al segretario prima di Pasqua («perché fosse chiaro che non dipendesse dal risultato elettorale») per informarlo della sua scelta di lasciare il posto alle «nuove leve». I due avevano concordato di riparlarne dopo il voto. L'intenzione di Veltroni era quella di dare l'annuncio al momento opportuno evitando inutili scossoni. Invece il Professore, pur ribadendo che resterà «supporter forte e leale del partito», ha accelerato. L'abbia fatto perché stizzito dall'ingeneroso affondo di Walter, l'abbia fatto perché stufo di vestire i panni del vecchio nonno che dà consigli che nessuno ascolto, la scelta di Prodi ha comunque costretto il segretario a rincorrere. «L'incontro, previsto a breve, avverrà nello spirito di coesione e di grande unità che si è visto in questi mesi» informa una nota del Pd. Ma il Professore è categorico: «Certamente discuterò assieme a Veltroni, ma una decisione è una decisione. Non ci sono polemiche in questo, ma doverose scelte di vita». In realtà l'annuncio di Prodi non sconvolge più di tanto la vita del loft. I prodiani sono una sparuta minoranza e poi quello del presidente è un ruolo puramente formale tanto che per la successione è già pronto un nome: Franco Marini. Anche perché, spiegano, «in quel posto serve cattolico». La vera battaglia in atto è invece quella per la presidenza dei gruppi. Veltroni aveva già pensato di piazzare Rosy Bindi alla Camera, ma Dalemiani ed ex Ppi avrebbero altri progetti. A Palazzo Madama, ad esempio, potrebbe essere lanciata Anna Finocchiaro per «bruciarla» e proporre in seconda battuta Nicola Latorre. Stesso gioco a Montecitorio dove Antonello Soro verrebbe sacrificato per lasciare il posto a Beppe Fioroni. Obiettivo del segretario: ostacolare la manovra. Anche perché, fanno notare, «è governando i gruppi che si governa l'opposizione. Fassino non lo aveva capito e infatti...»