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Maurizio Gallo [email protected] Avrà un effetto ...

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Professore, deve preoccupare la crescita del numero di persone che scelgono di non scegliere? «No. Intanto noi, nel quadro dei Paesi democratici, rimaniamo una nazione con il più alto tasso di votanti. Anche se la tendenza è decrescente, non c'è una vera inversione di tendenza. E bisogna mettere in conto l'invecchiamento della popolazione, perché chi è anziano va a votare meno volentieri». Quali sono le origini del fenomeno? «L'astensione ha due orgini: l'apatia e la protesta. Quest'ultima causa è molto più nascosta ma è inferiore al disinteresse. Bisogna sottolineare, inoltre, che negli anni '70 i partiti si mobilitavano. Dc e Pci andavano a tirar fuori di casa i malati, i comunisti avevano l'elenco di tutti i loro simpatizzanti e, se ancora non avevano votato, il lunedì andavano a cercarli. Oggi non è più così». Stiamo diventando un Paese anomalo, finiremo come negli Usa dove una grossa porzione degli aventi diritto non vota più? «Non sarei apocalittico. Stiamo solo diventando un Paese normale, senza più Guelfi e Ghibellini, Don Camilli e Pepponi». A far passare la «voglia» di andare alle urne ha contribuito una campagna elettorale noiosa? «È possibile. Però conta di più l'impossibilità di eleggere i propri rappresentanti. Con questa legge elettorale non ci sono le preferenze e non c'è neanche la competizione, almeno a livello locale. I candidati non si mobilitano nei quartieri, come avveniva con il "Mattarellum". Si gioca tutto sui grandi leader. Prima migliaia di candidati catturavano consensi sul territorio, c'era una rete parentale e amicale e funzionava così anche sul posto di lavoro». E la televisione? «Quello che si vede in tv passa, scivola via. È molto più efficae una chiaccherata con il vicino di casa. Invece la rete sociale è stata totalmente messa fuori campo dalla nuova legge elettorale e la campagna ai fini dello spostamento dei voti è stata quasi irrilevante». E il confronto tv che non c'è stato fra Berlusconi e Veltroni? «Avrebbe avuto in ogni caso un effetto debole sull'elettorato incerto e disinteressato». L'astensione penalizza più la destra o la sinistra? «Non credo ci sia una differenza rilevante. In base al buon senso e alle nostre ricerche, l'astensione di protesta è più espressione dell'elettorato di sinistra; quella da apatia più di quello di centrodestra. Secondo gli studi, non penalizza in particolare né l'uno né l'altro schieramento». È d'accordo con il silenzio stampa sui sondaggi delle ultime due settimane? «No. Qualsiasi censura è comunque negativa. Nella maggior parte degli altri Paesi democratici questo divieto non c'è. Anche se è vero che da noi i sondaggi sono stati spesso sfruttati politicamente». Ma, secondo lei, sono in grado di spostare voti? «Raramente per quanto riguarda la campagna elettorale, forse per il posizionamento dei partiti nei rapporti fra loro. I sondaggi hanno la caratteristica di porre un tema all'attenzione dell'opinione pubblica. Certo, se un sondaggio avesse stabilito che il partito di Storace poteva raggiungere l'otto per cento, questo avrebbe avuto la sua influenza e avrebbe accreditato il candidato». Anche se non ha raggiunto la quota 30% come era stato ipotizzato, alle 19 di domenica l'affluenza era calata di oltre 3 punti rispetto alla stessa ora del 2006. Qual è la sua valutazione? «Non è poco. Ma resta valido quello che le ho già detto. Il fenomeno non indica un'anomalia italiana».

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