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L'Europa vince con i suoi valori

Tremonti e Del Noce

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E' un Tremonti pacato e riflessivo quello che ragiona a voce alta, incuriosito dal dibattito che il suo libro sta suscitando. Cerca un filo logico nei fatti che accadono intorno a lui (e a tutti noi) in questo mondo "globalizzato", che non gli piace più di tanto. "La paura e la speranza" è già un successo editoriale (70 mila copie in poche settimane) ma soprattutto non è un libro da campagna elettorale: l'autore tiene a precisare che è stato scritto nell'autunno del 2007, quando le elezioni erano quasi un sogno per il centro-destra e molti ironizzavano sulla "spallata", quando Berlusconi e Fini litigavano un giorno si e l'altro pure, quando Prodi sembrava il nocchiero autorevole di una rissosa ma resistente maggioranza. Sulla scrivania del professore c'è la mitica lattina di pelati Cirio, totem della battaglia all'ultimo sangue con Antonio Fazio e con buona parte del sistema bancario. Negli infuocati mesi delle lettere al vetriolo tra ministro e governatore campeggiava orgogliosa sulla scrivania di via XX Settembre, sul tavolo di lavoro che fu di Quintino Sella. Ora però è il tempo della riflessione sulle grandi questioni del mondo presente e futuro: non a caso la lattina è ormai un pacifico porta-penne. Nel libro non c'è mai la parola Italia, c'è solo la parola Europa. E' il messaggio cui Tremonti tiene di più: dobbiamo fare presto e bene, ma soprattutto dobbiamo fare insieme. Insieme cosa e insieme chi? Ecco il vero tema del libro: disegnare un futuro possibile, ragionevole, utile. «Abbiamo due scenari di fronte a noi» - ragiona il professore - «il primo è quello di una globalizzazione che cresce continuamente ed a velocità costante. Il secondo immagina la globalizzazione, almeno per come l'abbiamo conosciuta sin qui, che incontra un salto di velocità». Senti a pelle che Tremonti si appassiona davvero quando ragiona sui grandi temi: esce la sua dimensione intellettuale, che finisce per fare premio sulla sua competenza tecnica. «Il problema dell'Europa è che nella sfida della globalizzazione rischia di restare spiazzata. Ma la reazione a questa sfida non si gioca sul piano degli interessi materiali, bensì sui valori spirituali. Conosciamo un doppio declino: economico e demografico. Il pensiero convenzionale porta l'analisi sul campo dell'economia. Ma se vuoi vincere la sfida non puoi restare solo su questo campo». Ecco il punto essenziale: «L'Europa deve restare al centro della storia e può vincere grazie ai suoi valori morali e spirituali. Su questo faccio riferimento alle radici giudaico-cristiane che la critica ha però circoscritto ai valori religiosi. In realtà non sostengo che valori sono solo quelli religiosi: ci sono anche loro, certo, ma si va oltre. La questione è il conflitto tra due visioni dell'Europa, tra quella di Londra e quella di Roma. Londra ha un'idea mercantile, Roma un'idea politica. La visione di Londra è quella di Europa come grande area di libero scambio, che si ripercuote in istituzioni comunitarie concepite come authorities. È una idea a minima intensità politica. L'alternativa è un'Europa a crescente intensità politica, che poi è quella necessaria per contrastare il declino. L'Europa non è solo un mercato unico con una moneta unica. Ma è un continente, che dopo la prima fase eroica dei grandi uomini e la seconda fase tutta economica, è all'inizio della terza fase, che deve essere quella politica. Il Parlamento Europeo deve diventare un vero Parlamento, che fa le leggi. Oggi, ma molti non lo sanno, è solo una camera di consultazione. Ma questo tipo di organizzazione istituzionale finisce per essere terribilmente simile all'architettura dell'assolutismo». Mentre il professore ragiona, irrompe nella stanza Marco Milanese, suo storico collaboratore e sicuro deputato dopo le prossime elezioni. Milanese gli ricorda che siamo in campagna elettorale: ci sono due interventi telefonici da fare. Il primo con un'assemblea di partito a Larino, il secondo in diretta al tg4. Tremonti ridiventa politico, attacca il governo ed il leader del PD Veltroni con due o tre battute fulminanti, di quelle che fanno l'effetto della soda cuastica sulla pelle. Chiuso il telefono, si torna ai ragionamenti. «L'altra grande idea è quella del debito europeo. Alla fine del '700 Alexander Hamilton dice che "una piccola quantità di denaro sarà una grande benedizione". Il cammino degli Usa inizia con l'idea di Hamilton e il debito pubblico in Europa deve diventare un progetto politico. Solo questo darà un senso compiuto alla moneta unica». C'è poi tutto il tema dell'industria del Vecchio Continente. «L'Europa deve imparare a proteggere la sua produzione e non spiazzarla. E sul protezionismo c'è un falso dibattito, chi parla di protezionismo nazionale pur di polemizzare ammette l'ignoranza fondamentale: a partire dal trattato di Roma del '57 esso è escluso. Qua si tratta di proporre le cose che sono possibili: l'Europa deve fare come fa l'America. Recitiamo in un teatro in cui il dumping è vietato in Europa, ma si tollera che venga da fuori a discapito dell'Europa stessa. Abbiamo porte troppo aperte per i rubinetti al piombo o i termosifoni all'amianto. In India fanno la Nano (automobile a 1700 euro di prezzo n.d.a.), ma se la fai uguale in Europa vai dritto in galera. Ci vuole un equilibrio sano, duraturo, ecologico». C' è poi il secondo scenario. Tremonti è convinto che l'accelerazione imposta alla storia ci sta presentando il conto e che molti in giro per il mondo stanno arrivando a questa consapevolezza. «Sta emergendo il lato oscuro della globalizzazione: il caro vita globale non ha ripercussioni solo qui, ma anche in Asia. Un'inflazione all'8-10% in Cina ha effetti politici rivoluzionari anche da loro. E poi c'è la crisi finanziaria. Finora L'architettura globalizzata si è basata su una divisione del mondo con l'Asia produttrice di merci a basso costo e l'America compratore a debito. Il ponte è stato la tecnofinanza che ha creato quell'effetto ricchezza artificiale. Nel 1929 ci fu un effetto ricchezza sulla borsa. Settant'anni dopo lo stesso fenomeno si è prodotto moltiplicando i valori immobiliari. Allora non c'erano strumenti di controllo, adesso c'è assenza di controllo perché la finanza opera fuori dalle giurisdizioni nazionali». Il professore evidenzia che la storia non si ripete per identità assolute. Per fortuna c'è una differenza, poichè nel '29 la crisi produsse panico ed il panico a sua volta intensificò la crisi. Adesso almeno abbiamo già gli strumenti anti-panico. Strumenti che dovranno essere applicati ed affinati, anche perché con ogni probabilità la crisi non è affatto terminata. Ecco allora il punto centrale del ragionamento. «Se la criticità è globale la soluzione non potrà mai essere nazionale. Al caos globale si risponde con una soluzione globale. È arrivato il momento di tornare a Bretton Woods, ed al suo respiro politico. E' realistico uno scenario di incontro e non di scontro, uno scenario attivo, propositivo. Provarci è una necessità, riuscirci un dovere». Secondo Tremonti gli strumenti messi in campo sono necessari ma non sufficienti. Il mondo si è già abbastanza fatto del male, pur in presenza di molti aspetti di progresso. Ora è il tempo di sedersi attorno ad un tavolo e trovare le soluzioni per il futuro, prima che la situazione scappi di mano. Messe in questa prospettiva le beghe della politica italiana paiono davvero poca cosa. Tremonti non lo dice, ma i suoi occhi azzurri guizzano veloci. Di Roberto Arditti, ha collaborato Fabio Perugia

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