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Vini, moda e formaggi. Siamo concorrenti in tutto

Sarkozy

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Ne ebbi la prima prova nel lontano 1994 ammirando una graziosa palazzina nel centralissima Via Lagrange a Torino (a fianco di Palazzo Carignano e del mitico ristorante Il Cambio) con tre bandiere di cui una del tutto a me sconosciuta. Entrai. Era l'ufficio torinese del Dipartimento «Rhône-Alpes Maritimes»: suo scopo invitare aziende a trasferirsi al di là del confine indicando gli sgravi tributari, l'eccellente capitale umano, l'infrastruttura e la pace sociale. Il direttore mi disse con orgoglio che nei due anni precedenti ben 500 aziende torinesi, lombarde e ligure erano andate al di là della frontiera, trasferendovi sede sociale e compagnia cantante. Dal canto nostro, nelle istituzioni e nelle sedi ufficiali boicottiamo da sempre lo «champagne». Cossiga ricorda che al Quirinale se ne bevve soltanto in occasione del commiato; in tutti gli altri si brinda «con il nostro meraviglioso prosecco». Pure in materia di vini è in corso una guerra sotterranea: in una prima fase, i francesi temevano che invadessimo il loro mercato interno di vin ordinaire con prodotti italiani a basso costo e bassa qualità. In una seconda, la guerra è sul mercato internazionale: grazie al progresso tecnologico (sviluppato in California ma da noi arte sopraffina) si può controllare elettronicamente temperatura ed umidità come nelle caves della Borgogna e del Bordolais ; i nostri viticoltori, dunque, aggrediscono con vini di qualità (i francesi dicono la loro è molto superiore) a prezzi pari a meno della metà di quelli d'Oltralpe. Qualcosa di analogo per i formaggi. In Francia ce ne sono oltre 500 varietà; il Generale De Gaulle ricordava «les payans du Cantal» («i contadini del Cantal», al tempo stesso un dipartimento territoriale ed una marca di formaggio) per l'apporto dato alla liberazione. Diede loro in cambio la politica agricola comune (minacciando di fare saltare la nascente Europa in via d'integrazione). Noi attacchiamo con il parmigiano stagionato che nei negozi specializzati di alimentari di Rue du Bac a Parigi si vende come se fosse oro. E le donne? I parigini raffrontano Carla Bruni a Maria dei Medici, la principessa fiorentina finita sul trono di Francia tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento e postasi a capo di molteplici intrighi (veri o presunti). Un giornalista italiano di mezza età dice di nutrire ammirazione mista ad invidia per Sarkozy; considera le nozze con Carla Bruni una sorta di ratto delle Sabine del XXI secolo. Dalle donne alla moda? Quante case di moda con il marchio italiano sono ormai parte del conglomerato Lvmh Louis Vuitton Moët Hennessy, una delle maggiori multinazionali del lusso? E lo stesso Palazzo Grassi sul Canal Grande a Venezia è stato ceduto dalla Fiat al finanziere francese François Pinault che ne ha fatto una propria, e personalissima, sede per mostre di arte contemporanea. Noi ci siamo rifatti in parte con i giornali : un editore italiano ha controllato per alcuni anni France Soir ed un altro detiene adesso il 33% dell'azionariato di La Tribune. La drôle de guerre dunque non riguarda solo la mozzarella e l'Alitalia (Absit iniuria verbis, ovvero con rispetto parlando), ma molto, molto di più.

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