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Zanichelli, ex Ad di Alitalia: "Per rilanciare la compagnia non ci vogliono vincoli sindacali"

Alitalia e Air France

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Nelsecondo caso si può ragionare. Al momento però, anche chi dice no ai francesi, deve prendere atto che sono stati gli unici a fare un'offerta e a presentare un piano». A parlare è Marco Zanichelli, che di Alitalia è stato amministratore delegato solo per quattro mesi da febbraio a maggio 2004, ma ha lavorato nella compagnia dall'89. Insomma uno che Alitalia la conosce bene. Come ad, presentò un suo piano di risanamento della compagnia. Un piano che però non fu accettato. «È stato un periodo traumatico che si sta ripresentando oggi». Ma di chi è la responsabilità se l'Alitalia è arrivata a questo punto? «È una crisi che viene da lontano. Dalla liberalizzazione del trasporto aereo in poi, alcuni momenti positivi ci sono stati come il periodo Cempella e Mengozzi. Ma si tratta di situazioni episodiche. I due tentativi di risanamento strutturale furono fatti con Cempella con l'accordo con Klm andato male per il discorso Malpensa e poi con Mengozzi con lo scambio azionario con Air France. Con Klm si era arrivati quasi a un passo dall'accordo industriale. Poi però è naufragato per la scarsa fiducia, la diffidenza che Klm mostrò verso la capacità di Malpensa tant'è che in seguito ci fu un arbitrato che Alitalia vinse». E cosa accadde invece con Air France? «Lo scambio azionario con Air France doveva essere propedeutico a una più sostanziale collaborazione invece non si andò oltre». Ci sarebbe voluta una cura più drastica di quelle effettuate dai diversi vertici? «Forse sì». Che responsabilità ha il sindacato? «Il sindacato ha fatto un ruolo di difesa dell'occupazione. Il problema dell'Alitalia non sono tanto gli esuberi, ma di come gestire le risorse, di qualità, di produttività. Trattandosi di un'azienda di servizi, il disservizio determina una ripercussione sull'immagine del Paese. Gli esuberi ci sono sempre stati. Ma un efficentamento delle risorse avrebbe potuto contribuire a ridurre le eccedenze. In una azienda di servizi il sindacato ha per forza un ruolo forte». Non sarà forse perchè il sindacato teme di perdere questo ruolo forte che si sta opponendo alla vendita a Air France? «Non penso che il sindacato stia facendo questo discorso. È evidente comunque che chiunque prenda Alitalia non vorrà avere vincoli sindacali per il piano di risanamento e di rilancio. E questo vale anche qualora si faccia avanti una cordata di imprenditori italiani. Non penso che questi potrebbero essere più morbidi. Nessuno fa beneficienza. Certo gli esuberi annunciati sono faticosi da digerire come pure la messa a terra degli aeroplani. Ma immagino che il sindacato sia consapevole delle conseguenze di un commissariamento della compagnia. Sarebbe peggiore della cessione ai francesi». Francesi o italiani che differenza fa? «Il problema principale è capire quanto tempo ha l'Alitalia di sopravvivenza. Se sono solo tre mesi la strada francese è obbligata; se sono di più si possono valutare altre opzioni, purchè però ci siano. Al momento non ci sono. Io penso che se qualche industriale avesse la garanzia di poter agire senza vincoli, si farebbe avanti».

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