Quello tra Romano Prodi e la Cina è un «amore» antico. Il ...

Il suo esordio in terra asiatica fu subito una sconfessione di chi lo aveva preceduto. «Siamo stati fuori per troppo tempo - disse da Nanchino -, c'è stato un ritardo, guai a tardare ancora. Questo è il momento di correre». E poi ancora: «Questo è il viaggio più importante mai fatto in questo Paese da una delegazione italiana. Sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico». Per Prodi un unico obiettivo: diventare, per l'Asia, la porta dell'Europa. Tanto che il giorno dopo, da Canton, il premier invitava le piccole e medie imprese italiane a non avere paura: «Il pessimismo, alimentato da timori legati alla delocalizzazione, alla forza dei numeri della Cina, ha finito per porre in ombra le straordinarie possibilità che la Cina offre invece alle nostre imprese e al nostro sistema economico nel suo complesso. Occorre rovesciare un paradigma negativo e lavorare per una dinamica virtuosa. Occore che entrambe le parti ne traggano beneficio». Nel frattempo Prodi chiudeva la sua visita impegnandosi a far terminare l'embargo europeo sulla vendita di armi. Promessa che venne accolta con freddezza dalla Ue. Tanto che da Bruxelles arrivò il commento del portavoce della commissione che spiegò: «Manteniamo le nostre riserve perché dal 2004, quando la quesrione fu presa in considerazione, non ci sono ancora stati i necessari progressi in materia di diritti umani». Alla fine non se ne fece nulla. E non solo di quello.