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"Caro cardinal Bertone, così danneggia la causa cattolica"

Cossiga

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Signor Cardinale Segretario di Stato, leggo su uno dei più autorevoli quotidiani italiani, il Corriere della Sera, che Lei ha detto che vedrà "che cosa sta capitando ai cattolici. Ritornando in Italia - dall'Azerbaijan, n.d.a. - mi tufferò di nuovo anche nei problemi italiani e vedrò se i cattolici stanno emergendo a sinistra, al centro e a destra. E se i valori cristiani sono supportati da un vero impegno: sia da un impegno dei cattolici presenti nei vari schieramenti, sia dal rispetto promesso dai leader di quegli schieramenti". Le scrivo questa lettera aperta, ritenendo di averne il diritto e il dovere, almeno da quando il Concilio Vaticano II ha ampliato espressamente l'ambito della collaborazione dei laici alla determinazione degli indirizzi della Chiesa. Credo di aver anche nello scriverLe l'autorevolezza derivantemi dall'aver ricoperto uffici non secondari nello Stato italiano di cui sono cittadino. Non penso che Lei dubiti della mia piena fedeltà alla Chiesa e al suo Vescovo, il Vescovo di Roma, ed ai suoi insegnamenti. Sono stato iscritto dall'età di sei anni all'Azione Cattolica. Ho militato nella democrazia cristiana dall'età di 16 anni. E debbo a questo partito se ho ricoperto alcune cariche nella Repubblica. Sono ideologicamente un cattolico-liberale, specie assai rara nella società cattolica italiana, e politicamente un riformista cristiano-democratico, più orientato, a dire il vero, a sinistra che a destra. Ritengo che, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, il "crollo della Cortina di Ferro" e lo scioglimento del grande movimento comunista internazionale guidato dal Partito Comunista dell'Unione Sovietica, e dopo il Concilio Vaticano II, in Italia e non solo un partito cattolico o di cattolici, e ancora peggio un "partito unitario di cattolici" sia non solo anti-storico ma anche in un certo senso anti-ecclesiale. Credo che non vi possa essere ormai più alcun dubbio sulla legittimità morale ed ecclesiale del principio del pluralismo politico dei cattolici e dell'autonomia temporale dei cattolici in materia politica. Il Concilio Vaticano II ha archiviato definitivamente la dottrina bellarminiana - elaborata in chiave di modesta polemica e riforma contro le tesi delle "Due Chiavi" di Bonifacio VIII -, della "potestas indirecta Ecclesiae in rebus temporali bus", e cioè potestà indiretta della Chiesa nelle materie temporali. Ritengo che la Santa Chiesa, il Papa e i Vescovi abbiano il pieno diritto, anche alla stregua del sistema delle libertà civili del nostro Stato, laico ma non laicista, di proclamare i principi e i valori della Chiesa anche riguardo le materie temporali ed eziandio legislative, e di richiamare i cattolici politici alla osservanza di essi, anche per quanto attiene al voto in Parlamento. Per me, insieme da cattolico liberale e da "cattolico infante", quasi tentato di diventare un "teocon all'americana", io sono tranquillo, perché so bene fino a che punto io sono "libero" nelle mie scelte politiche anche nei confronti della Chiesa, e so anche quando, teoricamente e praticamente, anche in Parlamento, io, da cattolico, debbo piegare le "ragioni della ragione umana" - che io ritengo gravemente vulnerata dal peccato originale e quindi assai limitata nel conoscere con le sue sole forze il "vero" e il "giusto", alla "verità" e al "giusto" come rivelati, confermati e insegnati dalla Chiesa; e so anche come e quando io possa invocare il "primato della coscienza personale" anche nei confronti dei vescovi, o invece accettare in ogni caso il "primato dell'obbedienza" alla Chiesa, od operare delle scelte secondo il criterio del "male minore". Tutto ciò premesso, Le scrivo per dirle, con rispetto, onestà e franchezza, sulla base della mia esperienza politica, che Lei, intervenendo direttamente, da Segretario di Stato di Sua Santità, e cioè "vertice" della Santa Sede, certo con le migliori intenzioni quale vescovo, nelle cose temporali italiane, può recare pregiudizio alla causa cattolica in Italia e porta certo inconsapevolmente il problema della proclamazione dei valori e dei principi suoi propri da parte della Chiesa in Italia, dei suoi vescovi, dello stesso Vescovo di Roma, sul piano sul quale lo vorrebbero portare dei laicisti "di casa nostra", e cioè sul piano dei rapporti speciali di carattere internazionale tra la Santa Sede, organo centrale e internazionalmente rappresentativo della Chiesa Cattolica e anche, come sul piano del diritto internazionale è stato erroneamente stabilito anni fa da un non meditato nuovo documento, soggetto non avente secondo la dottrina comune, una propria soggettività internazionale, ma soltanto ente-strumento della Santa Sede, della cui sovranità anche internazionale sarebbe solo oggetto. Il fatto che Lei intervenga, ben inteso lecitamente anche secondo il diritto internazionale, nella cose temporali italiane, anche soltanto per quanto attiene il comportamento da tenersi dai cattolici italiani e rispetto ad essi e ai loro valori in politica, anche da parte dei partiti politici, può far sollevare ai laicisti di casa nostra i problemi dei limiti che all'azione della Santa Sede porrebbero il Trattato del Laterano e il Concordato, mentre noi cittadini e politici cattolici non ci appelliamo per sostenere i valori e i principi della Chiesa e del diritto e della morale naturali, ai diritti e alle prerogative assicurate alla Santa Sede e alla Chiesa in Italia, dai Patti Lateranensi ma ai nostri diritti "laici" di libertà, e in particolare di libertà religiosa, di pensiero e di parola che ci sono non attribuiti ma riconosciuti dalla Costituzione della Repubblica, e dal diritto che noi parlamentari abbiamo di votare "senza vincolo" di mandato ispirandoci liberamente ai valori in cui ognuno di noi crede. Perché l'Italia è uno Stato laico e non laicista, che non ha una religione di Stato ma neanche una "non o una anti-religione di Stato", come la Francia del Terrore o i regimi comunisti sovietici. Voglia considerare, signor Cardinale, che tale fu la prudenza della Chiesa e della Santa Sede, che quando lo Stato italiano, estendendo la nuova disciplina della cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche ai matrimoni così detti concordatari, violò palesemente il Concordato garantito dall'articolo 7 della Costituzione, la Santa Sede si astenne assolutamente dal denunciare la violazione e dal protestare per via diplomatica. E solo Papa Paolo VI espresse una domenica all'Angelus il suo dolore insieme a quello dei vescovi italiani: ma la Santa Sede e il Segretario di Stato tacquero. Per questi motivi, mi permetto di consigliarLe, signor Cardinale Segretario di Stato, di lasciare che di questa materia si occupi la Conferenza Episcopale Italiana e il suo presidente. Non mi consta che né Lei né il Nunzio Apostolico a Madrid, siate mai intervenuti in relazione alla legislazione "libertina" del Governo Zapatero, lasciando che di queste materie si occupasse la Conferenza Episcopale Spagnola, talora anche travalicando i limiti delle sue competenze, come quando, malata di "hispanidad" e di "nazional-cattolicesimo patriottico" di ispirazione franchista quale è, si espresse contro l'ampliamento delle sfere di autonomia delle comunità nazionali minoritarie, e molto più cattoliche che non il resto del Regno: catalana, basca e galiziana! Diverso sarebbe il caso nel quale Lei, quale principale collaboratore del Papa, intervenisse a nome e per mandato del Papa. Che se poi con questa mia ho affermato qualcosa di dottrinalmente erroneo, penso che a farmelo rilevare riservatamente o anche a dichiararlo pubblicamente sarà la Congregazione della Dottrina della Fede. Se invece ho detto qualcosa di inopportuno, non mancherà alla Santa Sede il modo di farmelo sapere. Mi ricordi nella preghiera e mi creda devoto a Lei, vescovo, e insieme affezionatissimo amico

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