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Addio alle scintille ecco il nonno sereno

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Ancelotti, che aveva fiutato la malagrana, si era affrettato a dichiarare che «finché resta presidente Berlusconi il nostro ciclo continuerà». Ma il Cavaliere sa che è tempo di sparigliare: e dal prossimo campionato via le strisce rossonere, basta con i diavoli, una bella maglietta color speranza, il Milan si chiamerà «il Team delle Libertà» e magari si apparenterà con Monza, Como e Cremonese. Perché un sogno va comunque inventato, e in politica non si vede come. Che fine ha fatto l'imprenditore delle meraviglie capace di riedificare l'immaginario collettivo di un Paese, di asfaltarne l'inconscio da casello a casello, da Bondi alle Veline passando per Bush e Blair? Lo vedi sprofondato sulla poltroncina di Vespa, abbottato come un mago cui sia scappato il coniglio, e fa subito simpatia. Nella sua testa, il refrain stralunato di Tricarico: «Voglio una vita tranquilla-a-a...». Ma non può cantarlo. Tenterà l'impresa di non deludere gli italiani, ripartendo dalla buona notizia che «non metteremo le mani nelle loro tasche», come fanno invece i borseggiatori sul 67 barrato. Si ricandida perché la posta è lì sul tavolo, e le carte sono favorevoli: ma aver dichiarato che «è l'ultima volta» è stato un azzardo di comunicazione. Non è un Paese per vecchi, dicono. A lui, che non nasconde più l'età, basta ribellarsi al sospetto di «rincoglimento». Parole sue: una sorta di ossessione neuronal-testicolare-ideologica, perché i coglioni stanno a sinistra, e a quelli dà del «lei». Anche a Veltroni, che a Porta a Porta definisce un «gran comunicatore. Punto», e un «bugiardo di mestiere». Ex comunista, certo, ma per Berlusconi lo diventa anche Rutelli, e qui la memoria si fa più oscura. C'è un momento, nella serata in cui rivendica l'applicazione del suo contratto con gli italiani, in cui per la prima volta tutto un popolo, senza distinzioni di sorta, si riconosce in lui: è quando l'infingardo Vespa gli mostra un pennarello e una lavagna, e Silvio assume le sembianze del Presidente Somaro. Riaffiora in lui il terrore carsico dell'alunno che non ha studiato, e che il perfido maestro di sicuro interrogherà. Trasalisce, infatti, quando il conduttore lo invita ad alzarsi: «Che trappola mi sta...?», deglutisce. E quando scrive sul foglio le cifre che servono per abolire l'Ici, l'Irpef sugli straordinari, e via elencando, abbrevia la parola «miliardi» con la sigla «MM». Che vale, semmai, per i millimetri, o duemila in numeri romani, o la Metropolitana Milanese. Enigmi della psiche, in quel frangente, imperscrutabili. Certo, uno come lui non può lesinare sorprese: gira l'elica dell'Alitalia «public company», segrega Fini alla presidenza della Camera, inchioda cristianamente Casini alle sue scelte. Può persino, in uno splendido e involontario calembour, definire quella di Draghi premier «una favola»: del resto, un Cavaliere mal si accompagna a certe creature leggendarie. Ma più spesso sciorina un nuovo repertorio, più soft, risparmioso, nonnesco, quello del «vedremo cosa si può fare se ci sarà qualche soldo in cassa», che non è esattamente l'Eldorado intravisto di lontano nelle trascorse campagne elettorali. Ripropone, in una versione «light». La storiella del misterioso «amico presidente del consiglio di un altro Paese che mi chiama e mi dice se sto lavorando con la mascherina» o l'amico che va al ristorante italiano a New York, entra in cucina per verificare che sia pulita, perché «questa ormai è la nostra immagine all'estero». In altre occasioni, la trattoria del racconto era a Washington. E poi c'è la faccenda dei 58 metri quadrati: «Quando non avevo risorse, vivevo con mia moglie e due figli in un appartamento di quelle dimensioni: e ci stavo benissimo». Poi venne Macherio, e gli italiani ci sperano pure loro. Perché in questa vigilia del voto, così quaresimale e grama, non ci resta che sentirci tutti uniti a un progetto, a una solidale austerità. Come ha saputo fare anche Silvio, che l'altra sera si è presentato alla mensa Mediaset. Chiedendo un piatto di minestra.

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