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L'ultima di Veltroni: il centro sono io

Veltroni

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[...](da qui partì anche la campagna elettorale dell'Ulivo del 1996 e, ricorda il candidato premier del Pd, «ogni volta che sono venuto, poi ho sempre vinto»). Un po' perché il luogo del primo comizio pubblico si chiama Piazza Salotto, ma anche, Piazza della Rinascita. Un nome ben augurante. Quella del segretario del Pd è già iniziata. Tanto che, nonostante non ami citare sondaggi, Veltroni conclude il suo comizio con un dato sintetico: «Oggi il distacco tra noi e l'altro schieramento è di sei punti. Noi, nell'ultima settimana, ne abbiamo già recuperati due». Insomma, il vento è cambiato. E non è solo una questione metereologica (a Pescara la temperatura è glaciale), anche gli ultimi movimenti del panorama politico nazionale stanno dando una mano. Nel cuore di Veltroni, oggi, c'è un nome e un cognome: Pier Ferdinando Casini. «Quella di Casini - spiega dal palco - è una scelta coraggiosa. Prima esisteva il centrodestra. Poi una parte ha deciso di rompere con il centro. Così oggi, nel campo avversario, esiste l'estrema destra di Storace, la destra rappresentata dal Pdl, il centrodestra di Casini e una formazione più di centro, la Rosa Bianca». Che tradotto vuol dire: i moderati voteranno noi o, al massimo, Udc. È questa la nuova frontiera della campagna elettorale veltroniana. Il Pd, spiegano un po' tutti gli uomini vicini al segretario, deve porsi «come la vera forza inclusiva del Paese». Non è un caso che il candidato premier, oltre al solito canovaccio (meno tasse più salari, taglio dei costi della politica, nessuna citazione per il Cavaliere ecc.) insista quasi ossessivamente sulla parola «unità». Dopotutto alle 8 del mattino, quando giornalisti, fotografi e cameramen lo aspettano alla partenza del viaggio che lo porterà nelle 110 province italiane, Veltroni è all'ospedale militare del Celio in visita a Enrico Mercuri, il militare ferito nell'attentato che, in Afghanistan, è costato la vita a Giovanni Pezzullo. Duecento chilometri e quattro ore dopo, dal palco di Pescara, eccolo raccontare l'incontro: «Stamattina ho fatto visita al nostro militare ferito in Afghanistan. Un ragazzo di Macerata che ha studiato Scienze Politiche per poi arruolarsi. Questi nostri ragazzi in divisa portano un messaggio di pace nel mondo. Tutti, tutto il Paese, deve essere al loro fianco». Da Kabul all'Italia del 1945. Quell'Italia percorsa da ragazzi che «potevano stare tranquilli con le loro famiglie in Maryland, Virginia, Sussex e invece sono venuti a darci la libertà ed ora riposano in migliaia sotto le croci bianche dei cimiteri di Anzio e Nettuno». E ancora, l'Italia del dopoguerra. Quella, «meravigliosa», del 25 aprile del 1945 quando, «tutti insieme si unirono per ricostruire il Paese». «Noi - continua - siamo la forza che vuole riunire l'Italia». La temperatura si abbassa, Veltroni si agita sul palco. Dalla prima fila qualche signora, «cuore di mamma», invita il segretario, vestito scuro, gilet beige, cravatta blu a pallini rossi, a mettersi il cappotto. Lui va avanti. Annuncia un'altra candidatura. Quella di Luigi De Sena, il prefetto anti-'ndrangheta nominato da Giuseppe Pisanu («un bravissimo ministro dell'Interno»). Sarà capolista al Senato in Calabria dove «è giusto che il consiglio regionale concluda la sua esperienza» e dove «il Pd sarà il partito della legalità e dell'innovazione». Il partito-nazione di Veltroni è anche questo, un grande contenitore che va da Colaninno e a Boccuzzi.

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