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«Una discussione necessaria». Con queste parole il Capo ...

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In fondo, se il governo Prodi è caduto, lo si deve anche alle vicende giudiziarie che hanno coinvolto l'ex Guardasigilli Clemente Mastella. Forse per questo, in apertura di seduta, Napolitano ha voluto precisare che la discussione non nasceva da quell'episodio, ma «dall'accumularsi nel tempo di tensioni» che recentemente si sono solo «acuite». Per questo ha ricordato i termini generali della questione che purtroppo, talvolta, sembrano smarriti: politica e giustizia hanno «una comune responsabilità istituzionale» e perciò non possono guardarsi «come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco». Ma possibile, si è domandato il Capo dello Stato, che non ci si possa confrontare liberi da «complessi difensivi e da impulsi di ritorsione polemica?» «Mi auguro che sia possibile qui», ha aggiunto, impegnandosi, nella sua funzione di supremo garante, a «dare il contribuito più obiettivo possibile», ma senza «salomonica equidistanza». Semmai, ha continuato, mi tocca di «richiamare tutti al rispetto di regole, esigenze, equilibri, resi vincolanti dal nostro ordinamento». A questo punto il presidente della Repubblica ha ricordato i precedenti richiami: «Troppi casi di non osservanza delle leggi e delle regole, di scarso rispetto delle istituzioni e del senso del limite nei rapporti fra le istituzioni». Quando la magistratura si impegna a far rispettare le leggi, ad assicurare un severo controllo di legalità «dobbiamo avere il massimo rispetto». Le forze politiche «debbono avere consapevolezza» ed arginare il diffondersi della corruzione e di altri reati. Quando di questi «fenomeni devianti» siano accusati personaggi politici o pubblici, «dev'esser chiaro che l'investitura popolare, diretta o indiretta, non può diventare privilegio esonerando chicchessia dal confrontarsi correttamente col magistrato chiamato al controllo di legalità». Il politico, secondo Napolitano, «ha il dovere di non abbandonarsi a forme di contestazione sommaria e generalizzata dell'operato della magistratura, e deve liberarsi dalla tendenza a considerare la politica in quanto tale, o la politica di una parte, bersaglio di un complotto da parte della magistratura». Il Capo dello Stato ha dettato il galateo alla politica, ma anche alla magistratura che mostra «talvolta un analogo complesso di diffidenza e di reattività difensiva». «Bisogna dissipare questa duplice cortina di pregiudizio e di sospetto - ha incalzato -. E ai magistrati spetta in questo senso fare la loro parte». Questo il punto centrale, che Napolitano ha declinato in tutte le forme e che il vice-presidente del Csm, Nicola Mancino, ha sviluppato in assoluta consonanza. Napolitano ha concluso chiedendo al Csm di esercitare pienamente il ruolo previsto dalla Costituzione, senza chiusure auto-referenziali, senza «compiacenza corporativa» verso i giudici, esercitando senza ritardo l'azione disciplinare, facendosi carico tempestivamente dei contrasti all'interno degli uffici giudiziari, senza far pesare al proprio interno divisioni politiche o di corrente o fra togati e non-togati. Ma le parole di Napolitano non hanno fatto breccia nel cuore di Gianfranco Anedda, membro laico del Csm in quota An, che, nel suo intervento, si è scagliato duramente contro le ingerenze dei magistrati e di Palazzo dei marescialli nella vita del Paese.

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