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Pd, primi intoppi

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Walter Veltroni

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Tuttid'accordo con il segretario e con la sua scelta di aprire le porte del partito all'ex pm e di chiuderle, almeno per ora, a socialisti e radicali. Una scelta politica di grande lungimiranza perché, come spiega lo stesso Di Pietro: «Veltroni può vincere e governare bene, senza pugnalate alle spalle. Non ho mai iniziato una battaglia pensando di perdere». E anche Cesare Damiano, ministro dimissionario del Lavoro la pensa allo stesso modo. «Veltroni sta conducendo sapientemente questa opera di definizione delle alleanze - commenta -. Sono scelte positive che condivido. Mi pare che le scelte di Veltroni abbiano rimesso in movimento il quadro politico. La Cdl pensava di vincere a man bassa. Ora la contesa è aperta. Abbiamo pari chance di vittoria e sono ottimista sulla possibilità di avere nuovamente un Governo di centrosinistra». Insomma tutto sembra andare per il meglio. L'Idv che porta in dote un 4% di voti in più, i buoni risultati di Porta a Porta dove, nonostante la guerra dei numeri, Veltroni è riuscito a recuperare il parziale flop di Matrix, la rincorsa non sembra più impossibile. Per dirla in gergo veltroniano: si può fare. Ma, come spesso accade, è sotto i sorrisi che cova il malumore. E nel Pd, oggi, c'è più di un motivo per essere di cattivo umore, soprattutto dalle parti degli ex Ds. Dopotutto nessuno dimentica che Di Pietro è pur sempre colui che voleva sbattere in galera i dirigenti della Quercia intercettati durante le indagini sul caso Unipol-Bnl, che difendeva lancia in resta Clementina Forleo e attaccava, senza mezzi termini, Massimo D'Alema e Nicola Latorre. Comprensibile, quindi, che il suo ingresso nel Pd generi qualche preoccupazione. Nessuno, però, si espone. Quasi tutti preferiscono non commentare. E, così, ad attaccare apertamente l'alleanza con l'ex pm restano in tre. «Come si fa a dimenticare che proprio Di Pietro, quando stava al governo con noi, un giorno sì e un giorno no voleva mandarci in galera?» domanda, intervistato dal Foglio, l'ex diessino Giuseppe Caldarola che, poi, polemicamente, annuncia sul suo blog che resterà qualche giorno zitto, sconfortato da ciò che sta accadendo. Critico anche l'ex Dl Antonio Polito che, già mercoledì aveva criticato la scelta di apparentarsi con l'Idv. E il quotidiano Europa che, in un editoriale dal titolo «In che modo c'azzecca Di Pietro», invita il Pd a non restituire spazio al giustizialismo. Gli uomini più vicini al segretario, però, spiegano che si tratta di timori infondati. Dopotutto, spiegano, l'ex pm ha accettato tutte le condizioni chiedendo solamente che non venissero candidati politici condannati in primo grado. «Inoltre - aggiungono - il programma sulla giustizia lo scriviamo noi e lui ha già detto che non interferirà. E poi Veltroni si ispira al Pd americano dove convivono varie anime. Di Pietro, al massimo, potrà guidare una corrente giustizialista all'interno del Pd, ma poi dovrà fare i conti con la maggiranza». Insomma c'è da stare tranquilli. Tanto che anche un «nemico» storico come Massimo D'Alema applaude: «L'accordo con Di Pietro avrebbe potuto maturare già in questa legislatura se non ci fosse stata una rottura traumatica. Noi vogliamo costruire un grande partito riformista, di centrosinistra di stampo europeo, il dato politico è che pur correndo rischi noi presentiamo una proposta non più legata alla sinistra estrema, non più un'ammucchiata di chi sta contro Berlusconi».

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