Veltroni rispolvera Prodi «Un aiuto per ogni figlio»
Vorrebbe lasciarlo fuori dallo studio televisivo di Porta a Porta ma, alla fine, è costretto a rincorrerlo. In fondo sono passate poco più di 24 ore da quando il Cavaliere, seduto sulla stessa poltroncina bianca (Veltroni però siede alla sinistra di Bruno Vespa), ha lanciato la sua priorità per la campagna elettorale. Cominciando dall'abbassamento delle tasse. Il segretario del Pd, che ha abbandonato la cravatta rossa che lo ha accompagnato in queste prime uscite pubbliche per una grigia a quadretti, ripete quello che sembra essere diventato il suo slogan preferito («Pagare meno, pagare tutti»), rilancia la necessità di un intervento immediato sui salari e, incalzato dai giornalisti, fa qualche proposta. Sono le uniche anticipazioni dei 10-15 punti programmatici che userà in campagna elettorale. Per il resto occorrerà aspettare sabato quando l'Assemblea costituente del Pd lo incoronerà ufficialmente candidato premier. Veltroni assicura che ci saranno grandi elementi di innovazione, che lavorerà per cambiare il Paese. Per ora, però, si limita a scopiazzare il Prodi del 2006. Tra le sue proposte fiscali, infatti, compare un'idea che il Professore aveva già lanciato nel corso della scorsa campagna elettorale: 2.500 euro di sostegno alle famiglie per ogni figlio nato. «Serve - spiega - una ripresa dell'incremento demografico. Daremo 2.500 euro per ogni figlio sotto forma di detrazioni fiscali o, nel caso degli incapienti, con assegni». Ma incentivi ci saranno anche a sostegno dell'occupazione femminile, per trasformare gli asili nido in un «diritto», per combattere la precarietà giovanile. Il segretario del Pd è molto attento a non ripetere la parola «bamboccioni», parla di «ragazzi che hanno 35-38 anni, vivono ancora in famiglia e non hanno un lavoro stabile. Per loro proporremo un compenso minimo legale di 1000-1100 euro, sostenendo le imprese che assumono a lungo termine». Qui finisce il ricettario veltroniano. Il resto è un tentativo di cancellare gli ultimi 15 anni della storia italiana e quella che chiama, senza mezzi termini, la politica del no. «Dal 1994 in poi - ricorda - non c'è esecutivo che sia stato confermato al governo». Il motivo? «La frammentazione, la coriandolizzazione della politica». Basta quindi, con le «coalizioni contro», con le «coalizioni eterogenee». «Il Pd ha fatto una scelta di rottura - rilancia - presentadosi libero. Libero di dire che Paese vuole». Decisione che, sottolinea, «nei sondaggi ha fruttato al Partito Democratico una crescita del 2% solo nell'ultima settimana». Guai, però, a ricordagli l'accordo appena siglato con Di Pietro. Guai a chiedergli perché l'ex pm sì, e socialisti e radicali no. Veltroni non muta il suo tono pacato, ma non risparmia frecciate. Soprattutto a quel partito socialista che, negli ultimi anni, «si è alleato con tutti, rinunciando al proprio simbolo, ma non con noi». Comunque, fa notare, «con Di Pietro si è deciso di fare gruppi comuni dopo il voto e, lui stesso, ha annunciato che l'Idv si scioglierà nel Pd». E, in ogni caso, spiega, «andare da soli alle elezioni voleva dire andare senza la sinistra radicale». L'argomento è chiuso. Anche perché Veltroni è abilissimo a dribblare le domande scomode. Come quando gli viene chiesto di esprimersi sul tema caldo di questi giorni: la battaglia tra laici e cattolici sull'aborto. Il segretario del Pd difende la legge 194 poi, con un sorriso, chiosa: «Io la penso come l'Osservatore Romano, lasciamo fuori questi temi dalla campagna elettorale». O come quando gli viene fatto notare che, uno che fa politica dal 1975 non è certo una novità, a maggior ragione se ha annunciato che avrebbe trascorso la sua vecchiaia in Africa. «La novità è nelle cose che si dicono e si fanno» replica secco. Per poi aggiungere, pacatamente, che il Pd era il suo «sogno politico», che non si è «tirato indietro per senso di responsabilità» e che c'è «ancora tempo per realizzare i propri sogni personali». Il vero fantasma, comunque, resta Berlusconi. Al Cavaliere lancia la proposta di approvare, insieme e subito, «la riforma dei regolamenti parlamentari». Ma, sempre a lui, rinfaccia la mancanza di quel senso di responsabilità che «avrebbe permesso, durante la recente crisi di governo, di portare il Paese fuori dai guai. Bastava un patto per un anno». Poi, ricorda che, con Berlusconi, la crescita del Paese è stata zero e bolla il Pdl come «un'alleanza elettorale». Bastone e carota anche per Romano Prodi. Veltroni critica il programma di 280 pagine, la coalizione nata solo per vincere contro il Cavaliere, la scelta di non affidare una delle due Camere all'opposizione dopo il voto del 2006. Poi, però, loda l'operato del Professore e la scelta di non ricandidarsi («È stato un signore»). E, per un momento, il «maanchismo» ritorna.