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Marini rinuncia, alle urne a metà aprile

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Marini e Napolitano

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Napolitano ne ha preso atto e lo ha ringraziato per «l'alto senso di responsabilità» dimostrato. Così la crisi di governo che si è aperta il 24 gennaio con le dimissioni di Prodi va verso lo sbocco più drastico: lo scioglimento delle Camere e la convocazione dei comizi che, a questo punto, potrebbero portare a elezioni in aprile. Tocca a Napolitano consultare i presidenti delle Camere e incamminarsi verso questo sbocco traumatico, a soli 20 mesi dall'apertura della legislatura. Un esito che ha cercato di scongiurare, di far precedere almeno dalla modifica di una legge elettorale largamente giudicata inadatta, tra l'altro sottoposta ad un referendum già ammesso dalla Consulta. Mercoledì scorso, dopo 4 giorni di consultazioni al Quirinale, Napolitano ha convocato Marini e gli ha affidato l'incarico. Una scelta significativa. Il presidente del Senato è la seconda carica dello Stato e Napolitano si è messo visibilmente a suo fianco per rafforzare un mandato con una forte caratura istituzionale. Marini si è messo al lavoro, ha fatto le consultazioni per 4 giorni a palazzo Giustiniani e ieri sera ha sciolto la riserva in senso negativo. A questo punto lo scioglimento delle Camere in tempi brevi, richiesto in modo corale dallo schieramento di centrodestra, sembra lo sbocco scontato. Che il presidente sia orientato in questo senso si intuisce anche dall'indiscrezione lasciata filtrare dal Quirinale, secondo la quale Napolitano ha assicurato all'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro che anche in caso di scioglimento delle Camere possono essere adottati decreti delegati previsti dalla legge sulla sicurezza e tutela del lavoro. Gli occhi dunque restano puntati sul Quirinale per la prossima mossa, lo scioglimento, che potrebbe essere preceduto dal decreto con il quale si fissa la data per il referendum elettorale. Ciò eviterebbe che questa consultazione popolare si tenga a neanche due mesi dall'insediamento del nuovo Parlamento. Bruciando i tempi, lo scioglimento potrebbe aversi domani, o comunque in settimana. Prima di fare questo passo, il presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione, deve consultare i presidenti di Camera e Senato. Acquisiti questi pareri, lo scioglimento viene deciso con un decreto del capo dello Stato, controfirmato dal presidente del Consiglio e trasmesso immediatamente dal segretario generale del Quirinale ai presidenti dei due rami del Parlamento. Di norma, il giorno stesso il Consiglio dei ministri si riunisce e approva i decreti necessari per convocare i comizi elettorali nel periodo compresso fra 45 e 70 giorni. Appena approvati, i decreti vengono portati alla firma del presidente della Repubblica. Con la convocazione dei comizi scatta la normativa di garanzia per lo svolgimento della campagna elettorale, che comprende anche la cosiddetta par condicio. Solo nel 1979 il decreto di scioglimento e quello che fissava le elezioni non furono contestuali. Trascorsero 5 giorni. A febbraio del 2006 il ritardo fu di un giorno. A gennaio del 1994, il presidente Oscar Luigi Scalfaro sciolse le Camere due giorni dopo aver consultato i presidenti di Camera e Senato e introdusse una innovazione: spiegò loro la decisione in una lettera.

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