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Il subcomandante sembra un Dc doc

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Anche l'ecumenica esortazione pronunciata «sul campo» potrebbe non sorprendere, se a farla non fosse stato l'uomo che vuole rifondare il comunismo. Un appello molto «ma-anchista», quello di Fausto Bertinotti, che ha lanciato la proposta di una nuova alleanza tra credenti e non credenti «per poter rendere più abitabile questa terra». Ma l'ex segretario del Prc ieri è andato oltre. Ha rivelato di non essere più ateo, ha messo a nudo la sua empatia spirituale, raccontato la sua emozione nel seguire cerimonie religiose, sottolineato il suo apprezzamento per certe posizioni del Vaticano. Infine, ciliegina sulla torta, ha «eletto» Amintore Fanfani principe dei riformisti d'Italia. Viene da stropicciarsi le orecchie. Fanfani? Ma non era quello che ha promosso il referendum abrogativo sul divorzio? Non era a lui che si riferivano i «compagni» di Fausto quando, all'indomani della vittoria del maggio 1974, tracciavano sui muri l'irridente slogan: «Fanfani nanetto hai perso lo scudetto»? Non è che il subcomandante ci sta diventando democristiano? La domanda sorge spontanea leggendo le recenti affermazioni di Bertinotti, apparentemente frutto di meditazioni di un uomo ormai maturo che ha lasciato alle spalle le utopie e i sogni di gioventù. «Quando avevo vent'anni mi sarei definito ateo. Adesso sono uno alla ricerca, partecipo con coinvolgimento emotivo a parecchie cerimonie religiose», ha spiegato la terza carica dello Stato. Eh sì, Fausto è proprio cambiato. Ma forse neanche tanto. In fondo molti (sebbene la storia ci dice che gli effetti pratici del loro diffondersi sono stati significativamente diversi) sostengono che cattolicesimo e marxismo sono ambedue dogmi e che l'ideologia assomiglia molto a una fede religiosa. Non c'è da stupirsi, dunque, se Bertinotti indica le tappe che hanno segnato il suo percorso spirituale, fino a raggiungere una «linea di convergenza» (parallela?) tra religione e socialismo. Si parte dall'amicizia con il parroco di frontiera don Gianfranco Corbino, per passare alla lettura assidua dell'Osservatore romano, «la cui campagna contro le morti bianche ha ispirato e rafforzato la nostra battaglia di partito per la sicurezza sul lavoro». Fino all'«altissimo insegnamento del magistero sociale di Giovanni Paolo II». Tutto, ovviamente, nel segno del dialogo, che il presidente di Montecitorio auspica prevalga anche nell'incontro tra Fidel Castro e il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, atteso nei prossimi giorni a Cuba. Due uomini «di dialogo», aggiunge, che «non hanno bisogno di intermediari» e sono «capaci di dialogare e confrontarsi nell'ottica del bene comune». In questo slancio buonista e perdonista (qualche ex rifondarolo dissidente lo definirebbe revisionista) Bertinotti non poteva non rivalutare anche Fanfani, il quale «ha operato in quella stagione delle riforme che nessun altro governo di stampo riformista è mai riuscito a pensare nell'Italia successiva», ha detto in occasione del centenario della nascita di Amintore, precisando che lo scomparso statista «appartiene ai protagonisti di quella stagione che hanno pensato a una Repubblica fondata sul lavoro e che combattesse le disuguaglianze». La riscoperta spiritualità del leader di Rifondazione si è manifestata anche nel suo acutamente umile auto-candidarsi alla premiership della Cosa Rossa. «Pongo solo una condizione, che ci sia l'unanimità», ha affermato. Diliberto ha accolto l'ipotesi con entusiasmo, individuando nel compagno-rivale la persona giusta «per unire tutte le sensibilità di sinistra». E il capogruppo del Pdci-Verdi al Senato Manuela Palermi gli ha fatto eco: «Dovremo formare una coalizione che contrasti il moderatismo e quella di Bertinotti è sicuramente una candidatura forte, quella più in grado di rappresentare la ricchezza di sensibilità presenti nella sinistra». Tutto a posto, allora? Manco per niente, perché la Sinistra democratica non è disponibile ad avere Bertinotti come leader elettorale. Mussi, infatti, vorrebbe andare alle elezioni insieme con il Partito democratico e quindi preferirebbe che l'alleanza a sinistra della sinistra affrontasse la campagna senza una sua candidatura ma «adottando» quella di Veltroni. E la quarta componente della «Sinistra L'Arcobaleno» per ora non si pronuncia, in attesa del vertice dei leader in programma per oggi: «È necessario trovare una sintesi e deve essere una scelta condivisa da tutti», ha fatto sapere presidente dei deputati Verdi Angelo Bonelli. Ma la matematica non è un dogma. E tre su quattro non fanno l'unanimità chiesta dall'aspirante comandante Fausto.

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