Alessandro Usai a.usai@iltempo.it «Abbiamo tutte le ...
Non vuole entrare nel merito del dibattito politico ma come sempre Polegato guarda avanti e pensa a una «rivoluzione culturale nel campo economico». Serve coraggio, dinamismo e soprattutto non perdere tempo nei riti in cui resta impantanata la politica italiana. Mentre Marini consulta partitini e forze sociali, i problemi restano sul campo mentre l'Italia avrebbe bisogno di un governo nel pieno delle sue funzioni per innestare un cambio di marcia. Il mondo politico litiga su legge elettorale e referendum. Non crede che lo sviluppo del Paese parta da altre basi? «Questa politica è impreparata a gestire i problemi economici. Le faccio un esempio». Prego. «A Davos economisti, imprenditori e politici internazionali hanno dibattuto di energia alternativa, ambiente, sicurezza alimentare. Ma soprattutto di recessione mondiale e l'Italia rischia più degli altri Paesi europei. Sa quanti italiani erano presenti? Pochi, immagino. «Il governatore Draghi, i banchieri Profumo e Passera e la Moratti. C'è bisogno di una rivoluzione culturale e i politici debbono prendere esempio dagli imprenditori». Crede che serva un cambiamento radicale della classe dirigente? «In Italia c'è un problema politico. E dove non arriva lo Stato c'è l'impresa che ha grandi potenzialità d'intervento». A cosa si riferisce in particolare? «Penso alla scuola, alla formazione, alla ricerca e alla motivazione dei lavoratori. In un mondo globale si deve saper cambiare, organizzare il lavoro attraverso le diverse culture. Solo così dalla vendita di un prodotto si sale di livello e si vendono progetti. Una rivoluzione». È la linea che sta seguendo la sua Geox. «Credo al lavoro in team e ritengo sia fondamentale delegare ai manager le responsabilità. E per questo cresciamo del 25% ogni anno. Lo schema è semplice: creatività, brevetto sulla proprietà intellettuale e università. Altrimenti rimaniano ancorati allo stereotipo anglosassone». Quale? «Quello che descrive l'Italia come il Paese di "Mamas and Papas operations". Un capitalismo familiare, chiuso all'innovazione». La rivoluzione di cui parla richiede tempo. Partiamo dai salari: quale il primo passo? «Bisogna comparare i salari a livello europeo e superare la figura dell'operaio che deve diventare un tecnico. Geox ha fatto così, investendo in ricerca, innovazione e persone, mantenendo "l'intelligence" in Italia ma gestendo la produzione in outsourcing. Ovvero produce i propri prodotti attraverso fabbriche terze». Quindi è prioritaria la formazione. «Noi 13 anni fa abbiamo fatto così a Montebelluna. Oggi ci sono 30 mila occupati. Le spiego meglio. Organizziamo corsi per tecnici, manager, top manager e neo-laureati. Ci arrivano migliaia di richieste da ogni parte del mondo. Insomma, elevare il ruolo dei lavoratori per migliorare l'economia. «Esattamente. Solamente così gli operai avranno potere contrattuale e saranno in grando di competere sul mercato. Oggi in Italia, invece, siamo fermi a vecchie concezioni che alimentano tensioni con la politica che interviene a disciplinare i rapporti tra industriali e sindacalisti». Dunque serve prima un passo avanti dell'economia che serva poi a cambiare la politica? «Assolutamente. L'impresa è il motore per mettere in atto le riforme che servono al Paese».