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Imprese, invasione di campo. Pressing sul Cav contro il voto

Silvio Berlusconi

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Un pressing forte, anche asfissiante, affinché si faccia la legge elettorale e di fatto non si vada a votare. A cominciare questo gioco è stato per primo Luca Cordero di Montezemolo, senza sortire grandi effetti. E poi un manifesto delle imprese, un manifesto delle larghe intese che mette assieme gli industriali, ovvio, e i commercianti, gli artigiani, le cooperative bianche e rosse. Tutti assieme appassionatamente per chiedere di non andare subito al voto. E si chiede di mettere mano alla legge elettorale. In una iniziativa che non ha precedenti: mai le imprese avevano rivolto un appello così forte su un tema non meramente imprenditoriale ma squisitamente politico. Nel documento comune si esprime «grande preoccupazione» per la situazione del Paese e «per il quadro economico internazionale in netto peggioramento». I toni quindi si fanno perentori: «In un momento in cui avremmo bisogno del massimo impegno sui problemi dell'economia, la crisi politica è precipitata». Certo, si riconosce che «in questa situazione la richiesta di andare subito al voto è legittima e comprensibile. E certamente nella situazione in cui ci troviamo è giusto dare la parola ai cittadini». Ma parte subito dopo l'attacco all'attuale sistema di voto: «Le associazioni d'impresa ritengono che con l'attuale legge elettorale, senza preferenze e con liste preconfezionate, la scelta degli eletti sarebbe tutta nelle mani delle segreterie dei partiti. E anche grazie agli attuali regolamenti parlamentari, si riprodurrebbero alleanze pronte a frantumarsi il giorno dopo per gli interessi egoistici di tanti micropartiti dotati di poco consenso ma di grandi e inaccettabili poteri di veto». Dunque, le associazioni di categoria «ritengono che una riforma della legge elettorale sia un passaggio obbligato nell'interesse del Paese e nell'interesse di chi sarà chiamato a governarlo». Obbligato è la parola chiave. oteva essere usato un altro termine, meno vincolante, come doveroso ma lessicalmente si è scelta la strada che desse meno adito a cedimenti. Proprio per questo le imprese fanno sapere che «con altrettanta chiarezza sono convinte che la necessità di scrivere poche regole del gioco non può essere un pretesto per perdere tempo, per allungare le liturgie della crisi o per riaprire un confronto in cui ogni giorno si ricominci da capo». E se questo è possibile lo si faccia senza perdere tempo, con un governo che in poche settimane porti a termine questo compito. Altrimenti dobbiamo sapere che il problema è solo rinviato perché abbiamo bisogno di governabilità per cambiare e rendere più moderno il Paese. Serve una stagione di grandi riforme». Per il resto le richieste sono quelle di sempre: la riduzione della pressione fiscale, la crescita economica, le risorse per la ricerca, l'innovazione, le infrastrutture, il potere d'acquisto dei cittadini, la solidarietà verso i meno fortunati.

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