Nicola Imberti n.imberti@iltempo.it Di Massimo D'Alema si è ...
È più forte di lui, non riesce a fare a meno delle larghe intese». E in effetti D'Alema ce l'ha messa proprio tutta per cercare di trovare uno sbocco pacifico che evitasse le urne. Lontano dai riflettori, sempre un passo indietro rispetto ai protagonisti del circo mediatico, ma è stato lui il vero playmaker della crisi. O almeno, c'ha provato. Fin dal principio quando, invano, tentò di dissuadere Romano Prodi dal presentarsi davanti al Senato per chiedere la fiducia. Direttamente, attraverso il segretario del Pd (che si è confrontato con l'ex ministro degli Esteri ogni volta che c'era una decisione da prendere) e, perché no, tramite il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In molti, infatti, sottolineano che tra il Colle e il «lìder Maximo» esiste un rapporto privilegiato. E probabilmente non è un caso che, tra i nomi girati in questi giorni per risolvere la crisi, sia circolato quello di Giuliano Amato, presidente del comitato scientifico della Fondazione Italianieuropei guidata proprio dall'ex ministro degli Esteri. Ma il lavoro dell'ex vicepremier non si è esaurito qui. Caduto Prodi, D'Alema ha continuato la sua opera di tessitura. Gli incontri con Veltroni sono diventati quasi quotidiani. Tanto che, ad un certo punto, i due hanno cominciato a parlare con un sola voce. Quasi un mantra, ripetuto in ogni occasione pubblica: serve un governo di solidarietà nazionale. E mentre lanciava appelli al Paese, D'Alema provava in tutti i modi a convincere Pier Ferdinando Casini a sostenere il suo progetto. Raccontano che, in uno dei loro scambi di opinioni, i due abbiano siglato una sorta di patto: se non dovesse riuscire la creazione di un governo di transizione almeno si modifichi la legge elettorale reintroducendo le preferenze. La cosa sembrerebbe verosimile visto che l'ex vicepremier non ha ancora finito di combattere la sua battaglia per l'egemonia del Pd che Veltroni vorrebbe «liquido» (senza tessere) e che D'Alema vorrebbe più «tradizionale». Per questo ha bisogno di mostrare tutta la sua forza elettorale. Ieri l'ultimo atto. L'ex ministro degli Esteri si è incontrato all'ora di pranzo con Franco Marini che sembra ormai in pole position per ricevere un mandato esplorativo da Napolitano. Poi, in un dibattito con Rocco Buttiglione, ha auspicato che ci possa essere una «linea di continuità» in politica estera. Infine, alle 20.30, il colpo di scena. D'Alema si è presentato davanti alle telecamere del Tg1 esibendosi in quello che è sembrato un vero e proprio appello alla Nazione (e non solo, forse). Prima, quasi in una sorta di investitura, ha lodato Marini («Ho sempre apprezzato il suo impegno per il dialogo tra le forze politiche ed il grande equilibrio con cui ha esercitato sin qui il suo ruolo»). Poi ha ripetuto la sua ricetta per il futuro. «Il Paese - ha spiegato - avrebbe bisogno di un governo con una larga base parlamentare per rispondere alle grandi esigenze». In ogni caso, l'ex vicepremier è convinto «che il pericolo maggiore di antipolitica sia quello di andare al voto con una legge elettorale che la gran parte delle forze politiche ritiene inadeguata». «La ritengono sbagliata - ha aggiunto - i cittadini, gli imprenditori, gli intellettuali. Buon senso vorrebbe, quanto meno che si cambiasse la legge elettorale per andare poi al voto tra qualche settimana tra l'altro e non tra qualche anno». In ogni caso l'ex vicepremier è ottimista: «In questo momento penso che tutte le persone di buona volontà devono impegnarsi per aprire un avvenire diverso per il nostro Paese. Ho fiducia che siano molte queste persone». Che D'Alema abbia centrato il suo obiettivo?