Sintonia, unità, condivisione. Il giorno dopo la débacle ...
Presenti, nell'ordine, i vicepremier Massimo D'Alema e Francesco Rutelli, i ministri Arturo Parisi, Rosy Bindi, Giuseppe Fioroni, Vannino Chiti, Pierluigi Bersani, il sottosegretario Enrico Letta, i capigruppo di Camera e Senato Antonello Soro e Aanna Finocchiaro, il responsabile comunicazione del Pd Marco Follini, il coordinatore Goffredo Bettini e, dulcis in fundo, Piero Fassino. Ma il vero ospite d'onore è Romano Prodi. Non si sa se l'ex premier fosse compreso o meno nella lista degli invitati, fatto sta che, poco dopo le 15, si materializza a piazza Sant'Anastasia. Qualche dichiarazione di circostanza e poi via alla riunione. Circa un'ora dopo ecco i primi ad andarsene. Via senza parlare Massimo D'Alema. Un «miracolo» che non riesce a Romano Prodi che prima di tornare a Palazzo Chigi dove lo attende un impegno istituzionale, si intrattiene con i cronisti. «Sta andando bene - esordisce -, c'è un accordo sul "no" ad elezioni anticipate». Per il premier la strada da percorrere è quella di un governo istituzionale per le riforme, fermo restando che il nome di chi dovrà guidarlo verrà scelto dal Capo dello Stato. Passa un po' di tempo e dal loft filtrano notizie che parlano di assoluta sintonia tra Veltroni e Prodi che, prima di lasciare la riunione, ha espresso un sentito ringraziamento per il sostegno ricevuto in questi diciotto mesi e, soprattutto, negli ultimi giorni. Insomma il Pd farà di tutto per scongiurare le elezioni perché, spiega Franceschini al termine della riunione, serve un «governo di responsabilità nazionale» che faccia le riforme per il bene del Paese. In realtà, dietro il bene del Paese, sembra nascondersi un interesse personale. Nel loft sanno benissimo che il Pd non è pronto per affrontare una campagna elettorale in questo momento. Non c'è una struttura capillare e, soprattutto, i consensi sono troppo al di sotto delle aspettative. Senza contare la campagna martellante degli alleati che hanno additato il Pd come causa principale della crisi. Insomma si rischia una sconfitta che potrebbe rivelarsi mortale. Pensa probabilmente anche a questo Rutelli quando, interrogato a Palazzo Chigi su chi sia il vero colpevole della caduta dell'esecutivo, risponde lapidario: «Pugnalatori». Non la pensa così Parisi che anzi, invita il Pd ad avviare una «riflessione autocritica». Così, anche se i big del partito, uno dopo l'altro, abbandonano piazza Sant'Anastasia parlando di grande sintonia all'interno del Pd, l'impressione è che l'unica cosa in grado di tenerli insieme, oggi, è il terrore per un voto che potrebbe spazzarli via una volta per tutte.