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Prodi incassa la fiducia Domani o il voto al Senato o le dimissioni

Il voto

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[...] partecipato alla «chiama», ma anche altri parlamentari della maggioranza hanno fatto mancare il loro «sì».  Al momento, al Senato, escludendo i senatori a vita e considerando il computo esclusivo di quelli eletti, i numeri assegnano al «no» al governo Prodi una maggioranza di ben dieci voti (161 a 150) risultante dall'aggiunta ai 156 voti per il «no» organici al centrodestra, del senatore dissidente di sinistra Franco Turigliatto, dei tre senatori dell'Udeur che hanno ritirato la fiducia a Prodi, e di Domenico Fisichella, che ha esplicitato oggi un'intenzione che era apparsa chiara già dallo scorso dicembre, quando in occasione del voto di fiducia sulla Finanziaria aveva annunciato che si sarebbe trattato dell'ultimo «sì» all'attuale esecutivo. La bocciatura del governo, è la riflessione che viene fatta, precluderebbe la ricerca di soluzione alternative, a partire dall'ipotesi - che nel Pd non viene esclusa - di un governo tecnico-istituzionale. Una alternativa praticabile, secondo gli strateghi del Pd, visto che l'Udeur già alla Camera ha annunciato la non partecipazione al voto dichiarando conclusa l'alleanza che era nata nel 1998 e esaurita la coalizione. Una coalizione che anche grazie ai voti del Campanile ha incassato il premio che le ha consegnato un'ampia maggioranza di seggi a Montecitorio, nonostante lo scarto minimo di consensi ottenuto alle elezioni rispetto al centrodestra. Il coro che si leva dalle file dell'opposizione è unanime. Stentorea è per esempio la richiesta espressa da Silvio Berlusconi: «Credo che il presidente del Consiglio bene farebbe a recarsi al Quirinale senza passare dal voto del Senato». Quello dell'Udc, poi, è un vero e proprio martellamento: «Se Prodi oggi prende atto del fatto che non ha più la maggioranza e non ha più i voti di un partito che era parte integrante della sua coalizione è meglio - dichiara il segretario centrista Lorenzo Cesa - che non vada al Senato: un gesto, questo, che potrebbe svelenire il clima». Un consiglio ribadito dal capogruppo a Palazzo Madama, Francesco D'Onofrio, e da un battitore libero dell'Udc come Bruno Tabacci. Ieri era stato Pier Ferdinando Casini a offrire lo stesso consiglio - non si sa quanto gradito a Prodi - a nome dell'Udc. Ma i suggerimenti più pesanti sono quelli provenienti dai settori della maggioranza, o a essa limitrofi. Per dissuadere il premier dal compiere uno showdown al Senato che pregiudichi ogni spiraglio di confronto tra i poli sono scesi ieri in campo i Liberaldemocratici di Lamberto Dini - il quale oggi ha rilanciato l'appello - e l'Unione democratica di Willer Bordon e Roberto Manzione. La novità odierna è l'uscita allo scoperto di Domenico Fisichella, che rompe gli indugi e comunica di persona a Prodi il proprio no «se ci sarà il voto di Palazzo Madama sulla fiducia». Un voto in calendario domani al Senato, ma che Fisichella considera alla stregua di un'ipotesi. Al premier, Fisichella propone inoltre di «salire subito al Colle dopo ottenuta la fiducia alla Camera da una posizione assai robusta». Il che non preclude - si premura di aggiungere il senatore del gruppo misto - il conferimento di un nuovo incarico a Prodi, anche se su basi diverse da quelle attuali. Quella ipotizzata da Fisichella è «un'idea, una possibilità», chiosa il presidente dei senatori di Rifondazione, Giovanni Russo Spena. Il quale da un lato conferma che «se al Senato non ci sono i numeri Prodi potrebbe anche non venire», da un altro accenna all'eventualità di un reincarico al premier per un Prodi bis «con tre-quattro punti tra cui la riforma elettorale e la questione sociale». Non a un Prodi bis, bensì a un mero disbrigo degli affari correnti da parte dell'esecutivo attuale, pensa invece Berlusconi: «C'è un governo in carica che può tranquillamente portare il Paese alle elezioni, siamo convinti che questa sarebbe la soluzione più normale». La gravità della situazione, e l'inopportunità di forzature politiche che contribuiscano ad esacerbarla, si colgono nelle parole pesanti con le quali il capo dello Stato ha esordito nel discorso pronunciato oggi a Camere riunite per celebrare i 60 anni della Costituzione: a Montecitorio, Napolitano ha lanciato un grido d'allarme sul «momento di acuta crisi» e di «incertezza politica» in cui si festeggia l'anniversario della Carta fondamentale. Un passaggio del discorso del capo dello Stato che a nessuno può essere sfuggito. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, avrebbe rinviato a domani la decisione sull'iter da seguire dopo il voto di fiducia della Camera. Solo domattina, dopo una notte di riflessione, infatti, avrebbe annunciato di voler sciogliere la riserva tra l'ipotesi a cui e' piu' orieato al momento, cioe' quella di chiedere la fiducia anche al Senato, e quella invece di salire al Quirinale prima del voto di palazzo Madama.

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