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Fabrizio Dell'Orefice [email protected] «Ora ...

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L'epidemiologo Fabrizio Bianchi spiega i prossimi passi. Lui, l'uomo dell'istituto di fisiologia clinica del Cnr che da anni segue l'emergenza rifiuti, spiega cosa c'è di preoccupante per la salute pubblica. Dottore, partiamo dal triangolo della morte... «Ecco, appunto. E cominciamo col dire che non esiste né il triangolo né il quadrato della morte, ma la situazione è assai diversa». La definizione è del dottor Mazza, ricercatore proprio del Cnr. «E allora cominciamo anche con il dire che Mazza non è un ricercatore del Cnr. E penso che per lui non sia neanche conveniente continuare a darsi questa auto-definizione. Gli avevamo già risposto su Lancet che le cose vanno trattate in altro modo, ma parliamo di quello che è dimostrabile scientificamente, l'allarmismo non serve a nulla in aree dove la situazione è già seria. C'è un'area ampia dove si è registrata una mortalità e una incidenza di malformazioni più alta che altrove. Nella stessa area la pressione ambientale da rifiuti è più forte. Quindi esiste un'associazione tra ambiente e salute, ma non sappiamo ancora quanto rischio è dovuto ai rifiuti e quanto ad altre cause. E proprio in questi giorni stiamo avviando il monitoraggio sull'uomo per appurare se e quanta esposizioni ad inquinanti c'è stata». E che tipo di studi avete effettuato sino ad oggi? «Sono anni che studiamo i 196 comuni delle provincie di Napoli e Caserta, ed in particolare l'area tra le due provincie, uno dei 54 siti nazionali da bonificare. Questa zona è stata suddivisa in cinque livelli di compromissione ambientale a seconda della gravità del fenomeno dello smaltimento illegale o non gestito correttamente. Nei Comuni appartenenti alle classi più critiche, 8 in quella peggiore, 24 nella successiva, ma diciamo anche che 140 non hanno problemi o ne hanno di poco rilevanti, si è registrata una mortalità più elevata per tumori (fegato, polmoni, stomaco) ma anche per cause non tumorali come ad esempio cardiovascolari, respiratorie, per diabete nelle donne, e qualche incremento per malformazioni del sistema nervoso e urinario». Scusi dottore, ma nell'area tra Napoli e Caserta vi è stato anche un aumento del 400% delle richieste di esenzione del ticket per patologie tumorali. Sono dati più che allarmanti? «Non c'è dubbio, anche se non conosco i dati in dettaglio». E lei pensa che i rifiuti non c'entrino nulla? «Non ho detto questo. Dico che l'inquinamento da smaltimento sbagliato di rifiuti gioca un ruolo sul peggiorare gli indicatori di salute che abbiamo studiato, ma che in questo momento non sappiamo quantificare questo ruolo e quello di altri fattori anch'essi portatori di effetti negativi, come ad esempio il cattivo stato socio-economico che comporta una peggiore qualità della vita». La monnezza è un indiziato? «È l'indiziato numero uno se vuole, ma occorre conoscere meglio come avviene il passaggio da inquinamento a malattie». E le state cercando? «Come le ho detto poc'anzi stiamo per partire con il biomonitoraggio. Stiamo finendo di scegliere il campione da studiare, le persone da sottoporre alle analisi e alle interviste, in modo che sia rappresentativo della popolazione. Stiamo parlando di circa 800 abitanti della zona». Sarà uno studio solo sul sangue? «No, anche sul latte materno. Andremo alla ricerca di metalli, diossine e di eventuali danni provocati da questa emergenza. Sarà uno studio vasto e dettagliato, che coinvolgerà oltre cento operatori. Della Regione Campania, del Cnr, dell'Istituto superiore di Sanità in collaborazione con cinque Asl della Regione. Stiamo mettendo in campo il massimo». Dottore, perdoni. L'emergenza rifiuti è iniziata 14 anni fa, perché si comincia solo ora? «Siamo in ritardo. L'Italia è in ritardo. Questo genere di analisi altrove sono iniziate già da diversi anni». Eppure gli allarmi sono iniziati già da molto tempo. «D'accordo, ma guardi che uno dei problemi è che in Italia c'è troppa commistione tra politica e scienza, che non facilita le scelte». Quanto sono sicuri i prodotti dell'agricoltura campana? «Non credo che ci sia un rischio generalizzato per i prodotti alimentari, perché le aree di rischio sono circoscritte: ci sono controlli di routine sulla filiera».

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