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Gli eterni duellanti

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L'anno orribile per la sinistra era il 1994. D'Alema perse il referendum interno al partito per nominare il leader. Ma Veltroni (con 6000 voti contro i 5000 dell'avversario dei 12000 dirigenti locali e centrali aventi diritto) non ottenne la maggioranza necessaria. La decisione venne affidata ai 480 membri del Consiglio nazionale, che scelsero il lìder Maximo. Sotto la sua guida il Pds diventò il primo partito nazionale, ottenendo il 21,1% alle politiche. Fu il primo vero scontro tra i due. Ma quattro anni più tardi la posta in gioco era ancora più alta. Si trattava del governo, che il 21 aprile del '96 era stato espugnato dall'Ulivo di Prodi. Massimo era sempre segretario, Walter vicepremier. Il 9 ottobre 1998 Prodi cadde e Scalfaro incaricò D'Alema. Il vicepremierato di Veltroni sfiorì come un sogno all'alba. Oggi le parti sono invertite, l'ex comunista che non è mai stato comunista è alla guida del Pd. «Baffino di ferro», come lo definì Giampaolo Pansa stigmatizzandone la vecchia concezione della politica, è il braccio destro del premier. E, a un decennio di distanza, il neo-pomo della discordia è la riforma della legge elettorale. La battaglia, questa volta, si combatte a colpi di dichiarazioni e d'interviste. Il 2 gennaio il vicesegretario del Partito Democratico Dario Franceschini ribadisce a Repubblica che il sistema preferito da lui e (sottointeso) dal «capo» è quello francese, cioè doppio turno ed elezione diretta del primo ministro. Il giorno dopo, sullo stesso quotidiano, D'Alema sbotta: «Siamo impazziti, così si corre davvero il rischio di sfasciare tutto!», sottolineando il fatto che il francese sembrava essere stato definitivamente abbandonato dal Pd in favore della «bozza Bianco», in pratica un tedesco modificato. Il 4 gennaio è il turno di Walter: «Assurdo dire che sono impazzito», lo virgoletta nel titolo del «retroscena» il giornale di Ezio Mauro. Nella medesima data il vicepresidente del Consiglio rilascia un'intervista al Messaggero e precisa: dopo un giro di consultazioni promosso dal leader del Pd, c'è stata la proposta Vassallo, sulla quale stanno lavorando le commissioni parlamentari per una legge proporzionale con sbarramento e correttivi. «La strada indicata per un accordo è questa, non mi sembra utile ricominciare da capo». Ieri, puntuale, su Repubblica, giunge l'ultima replica di Walter. Che dice il «ma-anchista» sindaco di Roma? Oltre a confermare, come aveva fatto indirettamente il suo rivale, la lealtà al Professore, esprime tre concetti. Il primo: un accordo sul sistema tedesco è impossibile perché «non lo vogliono Forza Italia e An e non lo vogliono i partiti minori». Il secondo: in futuro (dopo Prodi) il Pd punterà comunque sul sistema francese. Il terzo: il compromesso praticabile oggi è un proporzionalismo bipolare per disinnescare la bomba-ingovernabilità. Insomma, la guerra è a tutto campo. D'Alema pensa a un Pd d'impronta socialdemocratica e, quindi, ad un alleanza con i centristi. Veltroni a un partito maggioritario all'inglese che esclude coalizioni formate dopo il voto. E, naturalmente, dietro queste due concezioni opposte c'è l'ombra della leadership. Per ora del Pd. Poi, un giorno che tutti fanno finta di non credere vicino ma che invece lo è, del governo.

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