Cinque mesi. Anzi, un po' meno. Tanto è durato l'idillio ...
Romano Prodi lo aveva annunciato il 18 giugno: «Il Pd avrà un segretario forte che sarà eletto dai cittadini». Walter Veltroni era l'uomo giusto per far avverare quella profezia. Neanche gli smarcamenti di Enrico Letta e Rosy Bindi sembravano poter mettere in dubbio la sua leadership condivisa. Poi arrivò il 27 ottobre, giorno dell'Assemblea Costituente del Pd, e tutti capirono che la musica era cambiata. Anzitutto c'era Romano Prodi che non aveva nessuna intenzione di lasciare nelle mani del neosegretario la «sua creatura». Il Professore, ridotto al ruolo formale di presidente del Pd (senza neanche una stanza nel loft di Piazza Santa Anastasia), ha subito cercato di mettere in difficoltà Veltroni delegandogli il compito arduo di cercare un accordo sulla legge elettorale. Il sindaco si è impegnato e, alla fine, è riuscito a far sedere al tavolo della trattativa anche il più riottoso degli interlocutori: Silvio Berlusconi. A questo punto il premier, preso in contropiede, ha ben pensato di ostacolare il dialogo facendosi paladino delle ragioni di tutti coloro che non vedono di buon occhio un'intesa tra Pd e Pdl. Ma Prodi non è il solo «nemico» di Veltroni. Negli ultimi giorni al fianco del Professore è sceso in campo Massimo D'Alema. Il vicepremier, tutto preso dalla crisi del Kosovo e dalla moratoria sulla pena di morte, sembrava scomparso dalla scena politica nazionale. È bastata un'intervista del numero due del Pd Dario Franceschini per farlo tornare, arrabbiato come non mai. L'ipotesi lanciata dell'ex Dl di una riforma elettorale in senso presidenzialista ha mandato su tutte le furie il lider Maximo che, prima ha avvertito sull'effetto devastante della proposta, poi ha invitato Veltroni a farsi da parte («Ha innescato il dibattito sulle riforme ora però le responsabilità sono delle Camere»). Linea condivisa, guarda caso, da Romano Prodi che ribadisce come spetti alle forze politiche e al Parlamento mettere a punto la legge elettorale mentre «il governo crea solo il clima affinché ci possa essere l'intesa», e sottolinea che è importante «non buttare via il lavoro fatto». Contro Veltroni anche Rifondazione Comunista che, per prima, con Fausto Bertinotti, applaudì convinta al dialogo tra il segretario del Pd e il Cavaliere (anche perché i due sembravano convergere sul modello elettorale di tipo tedesco che Rifondazione ha sempre sostenuto). Ora, però, la musica è cambiata. «Noi siamo ancora aperti a un confronto che può produrre una larga maggioranza in Parlamento - spiega il segretario del partito Franco Giordano -. Lo è anche il Partito democratico, oppure si prende la responsabilità di far saltare tutto?» Come se non bastasse il sindaco è costretto ad affrontare anche le «imboscate» interne al Pd dove si registra un certo malcontento dell'area degli ex Popolari che fanno riferimento al ministro Giuseppe Fioroni, dove i «prodiani-ulivisti» sono sempre sul piede di guerra e dove nelle ultime settimane si è acuita la spaccatura tra laici e cattolici (in particolare i teodem ex Margherita). Tutti vorrebbero pesare di più, tutti criticano il neosegretario per la gestione personalistica del Pd. Per dirla con uno storico adagio del comico Antonio Cornacchione: «Povero Walter».