Dini chiude a Prodi: "Ma dialogo con Veltroni"

«Un incontro cordiale, senza alcun imbarazzo», racconta Italo Tanoni, deputato e fedelissimo dell'ex ministro degli Esteri. Non era un caso. Lamberto Dini non ha mai nascosto il suo filo diretto con il sindaco di Roma. Nemmeno nei momenti di maggiore attrito e frizione tra i due, per esempio quando il leader dei Liberaldemocratici decise a metà settembre di abbandodare il Pd, di rinunciare ad essere uino dei quarantacinque saggi del nuovo partito. Un addio annunciato con un ossimoro: «Questa mia scelta è irreversibile. Per ora». Insomma, un arrivederci più che un addio vero e proprio. Perché se da un lato Dini non ha mancato di lanciare stoccate a Prodi e le sue frasi hanno seguito un crescendo rossiniano, verso Veltroni ha resistito la pax siglata tra i due. D'altro canto lo stesso presidente della commissione Esteri, proprio quel 18 settembre in cui annunciò l'addio dal Pd, ci tenne a sottolineare che Veltroni era «la persona più adatta a guidarlo». E Walter si fece sentire un mese e mezzo più tardi, mentre si avvicinava la fatidica data di metà novembre in cui si sarebbe dovuta verificare la spallata, chiamò Dini, lo vide, tentò di carpirne le intenzioni. E poi ha lodato l'incontro tra Veltroni e Berlusconi (tanto detestato da Prodi): «È un fatto positivo». Se i rapporti tra il leader dei Liberaldemocratici e il premier sono andati sempre più deteriorandosi, quelli tra Dini e il segretario del Pd non saranno migliorati ma sono rimasti stabili. L'ex ministro degli Esteri ha continuato a mantenere dei contatti con Veltroni mentre ci sono stati casi in cui, proprio in quei giorni tra fine ottobre e inizio novembre, Dini non ha nemmeno risposto a telefono alle chiamate del premier: le segretarie avevano precise disposizioni di dare direttamente il telefono cellulare di Natale D'Amico, senatore diniano. Ai fedelissimi del Professore che gli chidevano come mai avesse questo atteggiamento di totale chiusura, l'attuale presidente della commissione Esteri si limitò a rispondere: «Quello che avevo da dire l'ho detto». Uno degli emissari fu Tommaso Padoa Schioppa, con il quale Dini ha continuato a parlare. E a scherzare, platealmente, anche nell'aula del Senato. Tanto che ieri, in una lettera a Repubblica, Dini ha spiegato chiaro e tondo che non voterà la mozione di sfiducia presentata dal centrodestra nei confronti del ministro dell'Economia e che dovrebbe essere votata alla riapertura dei lavori. E se ha salvato Padoa ha tirato un altro schiaffo a Prodi: «Come parlamentare - ha scritto al quotidiano fondato da Eugenio Scalfari -, essendo quotidianamente chiamato a dare o negare un consenso ai provvedimenti del governo, non posso sottrarmi alla responsabilità di cercare di correggere una direzione di marcia del governo che rischia, a mio avviso, di rendere irreversibile il relativo declino dell'Italia nel mondo». «Oggi soltanto il 25% dei cittadini approva l'operato» del governo, ha sostenuto Dini. E ha aggiunto: «Ci troviamo di fronte a una pericolosa rottura del rapporto tra Stato e cittadini che il governo non sembra capace di sanare», aggiunge. «Circa le mie presunte ambizioni, segnalo che il mio obiettivo è far crescere la cultura liberale-democratica nella politica italiana, la qualcosa non dovrebbe dispiacere né a Eugenio Scalfari né al suo giornale».