Nicola Imberti n.imberti@iltempo.it Se non fossero tutti e ...

Loro sono Piero Fassino, Massimo D'Alema e Francesco Rutelli. Nell'ordine: ex segretario del primo partito della coalizione di centrosinistra che ha vinto le elezioni nel 2006; vicepremier e ministro degli Esteri del governo (dopo essere stato candidato alla presidenza della Camera e al Quirinale); vicepremier, ministro dei Beni culturali ed ex leader del secondo partito dell'Unione. Con la scena occupata da un Prodi traballante, da un Veltroni scalpitante e da un Dini furente, dei tre si sono perse le tracce. Di sicuro si sa che nessuno della triplice ha trovato spazio nel loft del Pd. Nemmeno una stanza (per la verità pure il presidente del partito Romano Prodi è senza tetto). Così Fassino, ad esempio, si è accasato alla Farnesina ospite di D'Alema. In fondo la nuova carriera dell'ex segretario, che ufficialmente rinunciò al governo per lavorare alla costruzione del Pd (anche se si racconta che fu il lider Maximo a tagliarlo fuori), guarda oltre confine. Inviato speciale Ue per la Birmania e membro del gruppo ristretto che lavorerà per «ampliare pensiero e le tematiche all'interno del Pse». Lo scorso 21 dicembre ha partecipato, a Bologna, ad una cena di finanziamento organizzata dal Pd, ma ormai il suo orizzonte è il mondo. Lo stesso orizzonte che sembra aver scelto Massimo D'Alema. Interrogato sulla tenuta del governo il ministro degli Esteri ormai ha la risposta preconfezionata: «È un tema di cui mi occupo poco in Italia e per nulla all'estero». Così tra una moratoria sulla pena di morte e una conferenza sul Kosovo, il vicepremier guarda con un certo distacco agli affari di casa. Sicuramente meno di Francesco Rutelli che è l'unico del trio ad aver rilasciato nell'ultimo mese ben due interviste sul futuro dell'esecutivo. Nonostante questo, però, anche il ministro dei Beni culturali mantiene una posizione defilata e c'è chi giura stia lavorando per la successione a Veltroni sulla poltrona di sindaco di Roma. Dopotutto bisogna pur pensare al futuro.