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Bordon: "Sì, la maggioranza è morta"

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[...]a Palazzo Madama è sfumata anche quella numerica. A redigere il necrologio del governo di centrosinistra è il senatore dell'Unione Democratica Willer Bordon, che da tempo ha annunciato le sue dimissioni per il 16 gennaio e ha anticipato la «sentenza» emessa poco prima di Natale da Lamberto Dini. Per Bordon è necessario un governo che, grazie a una «momentanea sospensione della competizione bipolare», vari la riforma elettorale, il regolamento parlamentare e la modifica della Costituzione garantendo un premierato più robusto e stabile. Dopo di che, tutti alle urne. Quindi, senatore, condivide la «denuncia» di Dini? «Credo di essere stato il primo a vedere il re nudo e a dirlo a voce alta. La maggioranza politica non c'è più da un bel po'. In Senato è stata fin dall'inizio fragilissima, ma da qualche mese non esiste più una condivisione piena della responsabilità di governo. Dini ha ragione a dire che ormai non c'è neppure quella numerica, poiché non si può contare più su Turigliatto e Fisichella. D'altra parte, la distanza fra uno come Diliberto e uno come Dini è diventata incolmabile...». Ma era una distanza che c'era fin dall'inizio... «Questo è vero. Come c'era nel centrodestra tra Bossi e Fini. Il bipolarismo malato ha creato coalizioni che non riescono a governare ed è sfumata pure l'illusione che l'amalgama potesse essere un accordo programmatico di 280 pagine. Prodi, nelle condizioni date, ha governato bene. Ma così non si può andare avanti. E come me la pensa la gran parte dei senatori della maggioranza». E allora? «E allora si va a votare. Come sarebbe normale in un Paese normale. Da noi, invece, sembra il giudizio universale, una sorta di atto eversivo». Lei è per tornare alle urne con questo sistema di voto? «No. Sarebbe logico cambiare la legge elettorale e i regolamenti parlamentari. E sarebbe auspicabile modificare la Costituzione per dare al premier il potere di nominare e revocare i suoi ministri. Altrimenti, i rischi di domani sarebbero identici a quelli di oggi anche se a parti invertite». E la verifica del 10 gennaio? «Non voglio manomettere il vertice, ma anche se si concludesse con un miracolo passando dagli insulti a un'intesa, resterebbe il vertice di una cospicua minoranza perché, come dicevo, senza Fisichella e Turigliatto al Senato la maggioranza non c'è. Prima del 10 gennaio, comunque, noi e i diniani tenteremo di vedere che cosa è possibile fare...». Che cosa pensa della proposta di Dini per un governo di larghe intese? «Le larghe intese possono rappresentare unicamente un'eccezione, non sono una condizione di normalità. Da noi "grandi intese" si declina "grande inciucio". E il Paese non se lo merita». Immagina un governo tecnico per fare quelle modifiche di cui parlava e poi andare a votare? «No, penso a una sorta di breve accordo di garanzia bipolare. Un accordo fra opposizione e maggioranza di sei-otto mesi, nel corso dei quali Prodi potrebbe anche continuare a stare a Palazzo Chigi, per poi poter fare le elezioni con nuove regole. L'obiettivo è un bipolarismo maturo, con due blocchi che si confrontano, perdono o vincono. Il risultato sarebbe l'alternanza. In Italia non c'è. Ed è un fatto molto grave».

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