Nicola Imberti [email protected] Loro sono quelli che ...
Basta ai vincoli di coalizione e al senso di responsabilità. Basta, basta, basta. A dire il vero nella categoria (che ovviamente conta i suoi più illustri rappresentanti al Senato) esistono varie sfumature. Ci sono, ad esempio, quelli che, a forza di aspettare, si sono stufati. È il caso dell'ex premier Lamberto Dini l'uomo che ha inaugurato la stagione delle «mani libere». Dopo i quattro voti di fiducia che hanno concluso l'anno sociale di Palazzo Madama ha definitivamente salutato l'Unione. «In Senato non ci sono più i numeri - ha detto poco dopo aver votato -, né la maggioranza politica né la maggioranza numerica. Se la vedano loro». Con Dini girano le spalle al Professore anche gli altri due senatori liberaldemocratici Giuseppe Scalera e Natale D'Amico. E non solo. Negli ultimi tempi, lungo la strada, il presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama ha raccolto qualche compagno di viaggio. È il caso di Willer Bordon e Roberto Manzione anche loro, come Dini, delusi dal processo costituente del Pd. Anche loro, come Dini, emigrati in un altro movimento (l'Unione democratica) e ormai convinti che l'esperienza politica dell'Unione è giunta al capolinea. Bordon lascerà il Senato il 16 gennaio (si dimetterà per prepararsi alla corsa al Campidoglio ndr) ma è tutt'altro che tenero. «Da mesi denunciamo che la maggioranza politica non esiste più - spiega intervistato dal Corriere della Sera - e dopo la dichiarazione di voto di Fisichella non c'è più nemmeno quella aritmetica. Bisogna stare attenti ad annunciare vertici per il 10 gennaio. Sarebbe un vertice di minoranza, un insulto al buonsenso». Proprio Domenico Fisichella è la new entry nelle fila di coloro che, la prossima volta, diranno basta. Il suo annuncio è arrivato quando l'Aula si apprestava ad affrontare la lunga schiera di voti di fiducia: «Voterò oggi e domani la fiducia come espediente tecnico per evitare l'esercizio provvisorio. Ma la fiducia politica con il Governo in carica si è esaurita, senza possibilità di recupero». Fin qui la pattuglia di coloro che non ne possono proprio più. Ci sono poi quelli che, per ora, hanno lanciato l'ultimatum. È il caso dei Socialisti Gavino Angius, Accursio Montalbano e Roberto Barbieri. È stato quest'ultimo, durante le dichiarazioni di voto sulla Finanziaria, a spiegare che, se questa volta è prevalsa la «lealtà politica», «dalla prossima volta prevarrà il merito per l'equità e la giustizia sociale di questo Paese». Insomma il Partito socialista è deluso, ma non sembra intenzionato, almeno per ora, ad andarsene. È chiaro che, per loro, il vertice del 10 gennaio assume un significato particolare. Posizione simile a quella della Sinistra-L'arcobaleno che spera nell'apertura di una nuova fase politica. Ci sarebbe, poi, di l'Udeur Clemente Mastella che, ormai da giorni, continua a sostenere l'opportunità di tornare prima possibile alle urne. Attorno a questo mondo in movimento ci sono poi alcuni satelliti. L'ex Prc Franco Turigliatto, ad esempio, ha votato sempre contro il governo sia sulla Finanziaria che sul protocollo welfare ma, il suo dissenso sembra limitato a questi provvedimenti. L'ex Pdci Ferdinando Rossi, invece, ha votato sì pur criticando ambedue i testi giustificando la sua scelta con un sempreverde: «Non sappiamo cosa ci sarebbe dietro l'angolo». Chiude la carrellata la squadra delle Autonomie. Helga Thaler Ausserhofer della Svp ha duramente attaccato la Finanziaria («non dà risposta concrete»), ma ha votato la fiducia «rispettando il vincolo di maggioranza e facendo appello al senso di responsabilità istituzionale». Insomma, difficile che Prodi possa aspettarsi sorprese da loro.