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Leggi sbagliate, il Quirinale non ne può più

Giorgio Napolitano

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[...] bocciato dal tribunale amministrativo. Certo, al Quirinale fanno notare come si tratti di provvedimenti sui quali il presidente della Repubblica non è mai intervenuto nel merito. Insomma, s'è limitato a controfirmare, almeno quello su Speciale. A controfirmare però atti che poi sono stati smontati persino dal Tar. Sul Colle se ne rendono conto ed è ormai chiaro che Giorgio Napolitano non sia più disponibile a mettere la firma su altri testi che possano presentare un minimo dubbio. Così sul decreto sicurezza il presidente della Repubblica s'è fatto sentire preventivamente: «C'è un errore», lasciando intendere che lo avrebbe potuto rispedire alla Camere. E ora il governo corre ai ripari. La soluzione sarà dividere il vecchio decreto in tre decreti: uno con i requisiti di urgenza, comprese le esplusioni; uno per aspetti meno urgenti; l'ultimo per salvare la norme anti-omofobia, che finirà nel ddl sullo stalkilg. Intanto nel governo è subito scattata la caccia al colpevole. Ovviamente, come al solito i ministri scaricano le colpe sui tecnici. Nel mirino è finito per esempio Carlo Malinconico, segretario generale di Palazzo Chigi, sebbene la sua colpa sia soprattutto quella di non avere un particolare feeling con Prodi. O Paolo De Ioanna, capo gabinetto del ministero dell'Economia, sebbene sia chiaro che ha agito su pressing politico. Però è evidente che i problemi non si sono verificati solo sui decreti del dicastero di via XX settembre, ma anche sul decreto sicurezza le cui modifiche, con sbaglio, sono state autorizzate dal Consiglio dei ministri presieduto per l'occasione da Clemente Mastella, il Guardasigilli, ovvero dal ministro principe in materia. E neppure si capisce come sia stato possibile che il presidente del Senato, Franco Marini, la seconda carica dello Stato, abbia dichiarato ammissibile un testo che era palesemente sbagliato, con un riferimento normativo inesistente. Luciano Violante non a caso punta il dito su Palazzo Madama: «È emersa incompetenza e scarsa collaborazione da parte della pubblica amministrazione». Poi il presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera avverte: «Come è stato possibile che in un ramo del Parlamento sia stato considerato ammissibile un emendamento» che conteneva la norma errata? Non solo: Violante attacca anche sugli altri casi: «Qual è il rapporto tra politica e amministrazione in questa fase? Se l'amministrazione non serve con piena lealtà e competenza l'autorità politica, si pone un problema politico che il governo dovrebbe affrontare». Marcello Pera, ex presidente del Senato, non ci sta e replica a muso duro: «L'onorevole Violante prende di mira l'amministrazione del Senato. Ma punta il dito in direzione sbagliata. Primo, perché quell'amministrazione è notoriamente efficiente e sopra le parti, secondo, perché, quando la questione fu sollevata in Aula, né il governo né la maggioranza dissero una parola». Violante poi si corregge: «Ho già detto con chiarezza che il problema che ho posto riguarda il rapporto tra il governo e i suoi uffici. Come è noto, tra gli uffici del governo non c'è certo l'amministrazione del Senato». Insomma, ce l'ha con Palazzo Chigi e ministeri. Quel che sarà, al Quirinale interessa sempre meno. E si preparano a passare a raggi X la Finanziaria che arriverà sul Colle. D'altro canto già un anno fa Napolitano disse chiaro e tondo: «Il ruolo legislativo del Parlamento è oggi pesantemente condizionato da distorsioni divenute sempre più gravi» e fece notare come sulla Manovra «anche quest'anno sta per essere approvata in entrambe le Camere col voto di fiducia posto dal governo su un articolo unico comprensivo di un numero abnorme di disposizioni». Quest'anno, di tutta risposta, le fiducie sono diventate tre.

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