L'agonia continua

[...]fino all'ultimo, Vannino Chiti ha dovuto fare i salti mortali per evitare che il dissenso dei cattolici dell'Unione (i teodem Paola Binetti, Emanuela Baio, Luigi Bobba e Lorenzo Ria) si trasformasse in una spallata. Definitiva. Su una cosa non c'è dubbio: la giornata è stata tutt'altro che monotona. E alla fine resta un dato politico che farà riflettere: senza l'aiuto dei senatori a vita il governo avrebbe ottenuto 155 voti contro i 157 dell'opposizione. Tutto ha inizio a metà mattinata quando il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti si presenta in Aula è annuncia, tra le urla dell'opposizione, che il governo porrà la fiducia sul decreto sulla sicurezza. La decisione è stata presa in 5 minuti, dalle 11.30 alle 11.35, nel corso di un Consiglio dei ministri lampo che si è svolto a Palazzo Madama sotto la presidenza del Guardasigilli Clemente Mastella. «Abbiamo il dovere di far approvare il decreto - spiega Chiti -. Il governo avrebbe voluto un confronto aperto e costruttivo e anche una convergenza fra maggioranza e opposizione. Ma non è stato possibile. A questo punto riteniamo che debba essere conservata la coerenza complessiva del provvedimento concordato con la maggioranza». In verità, fino a quel momento, era stata proprio l'Unione ad aver mostrato qualche segnale di debolezza. La seduta si era aperta alle 9.30, ma il senatore del Pd Aniello Palumbo aveva immediatamente chiesto la verifica del numero legale che, ovviamente, non c'era. Così il presidente Franco Marini era stato costretto a sospendere i lavori. La maggioranza, infatti, aveva ancora bisogno di tempo per trovare un accordo unitario. Tocca quindi a Chiti togliere le castagne dal fuoco annunciando una fiducia che il giorno prima sembrava impossibile. Marini convoca immediatamente la conferenza dei capigruppo, ma nell'Unione si respira una certa tranquillità. La sinistra radicale trova il testo equilibrato («hanno accolto le nostre modifiche» spiegano). Mentre da Bruxelles il ministro dell'Interno Giuliano Amato ostenta sicurezza: «Sono ottimista, perché ritengo che al Senato ci siano i numeri». La votazione, però, si preannuncia sul filo di lana. Il senatore eletto all'estero Luigi Pallaro non è in Aula. Il dissidente ex Prc Franco Turigliatto annuncia che voterà no. A complicare le cose ci si mettono i teodem del Pd (Paola Binetti, Luigi Bobba, Emanuela Baio e Lorenzo Ria) che entrano in crisi su una parte del testo che prevede il carcere per la discriminazione su «tendenze sessuali». Con loro entra anche il senatore a vita Giulio Andreotti che, proprio per questo passagio del decreto, decide di votare no. Fino all'ultimo il governo tenta di scongiurare la crisi. Si arriva alla votazione. I senatori sfilano sotto il banco della presidenza. Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Francesco Cossiga votano sì. Tra i teodem solo Paola Binetti vota contro la fiducia. Finisce 160 a 158 anche grazie all'assenza del senatore di An Francesco Divella (che il leader Gianfranco Fini invita subito a dimettersi). Ma il dato che preoccupa il Quirinale (che ha seguito attentamente lo svolgimento del voto) è un altro: senza senatori a vita il governo non avrebbe ottenuto la fiducia.