"Il dialogo è necessario, il governo ne resti fuori"
Forseil suo ruolo istituzionale, vicecapogruppo dell'Ulivo (che oggi diventerà Pd) al Senato, lo frena un po'. Ma il senso non cambia. Alla vigila dell'apertura della settimana del dialogo, il senatore ex margheritino, rilancia. Senatore, che cosa può succedere in questa settimana e dopo? «Anzitutto direi che mi sembra giusto che maggioranza e opposizione debbano lottare. Magari anche vivacemente ciascuno per il proprio programma. Ma quando si discute delle regole del gioco non è pensabile che non discutano tra loro». Sarà, ma finora ancora non lo avevano fatto. Come è stato possibile? «Ricorderà che nella scorsa legislatura, l'allora maggioranza poteva contare su un vantaggio di cento deputati e cinquanta senatori. Eppure, nel suo populismo, il premier dell'epoca ha di fatto reso possibile qualunque tipo di confronto con l'opposizione del tempo». D'accordo, le potrebbero replicare che prima il centrosinistra varò le riforme costituzionali con quattro voti di scarto. «E io non ho nessun problema a risponderle che quello fu un errore. Ma voglio anche sottolineare che a quella riforma ci si arrivò dopo un lungo confronto proprio con l'allora opposizione. E il centrodestra condivise gran parte di quel testo che fu partorito dalla Bicamerale. Testo che era saltato per volontà di Berlusconi, appunto». Ecco, la Bicamerale. Anche stavolta Prodi deve temere? «Temere cosa?» Be', allora, la commissione presieduta da D'Alema, fu il preludio della prima caduta del Professore. «Veltroni è necessario che tenga sempre distinti i due piani. C'è il livello che riguarda le riforme costituzionali e c'è il livello che riguarda il governo. Le due questioni non si legano, è il centrodestra che sta provando a farlo». E Veltroni? «Finora ha tenuto separati i due discorsi. Penso che continuerà a farlo. Farà bene le sue consultazioni». Che cosa ha portato alla nuova stagione? Insomma, per mesi i due poli si sono combattuti. Ora si parlano, che cosa è successo che ha imposto la svolta? «Due fatti principali. Il primo è che il tentativo della spallata operata dal centrodestra è fallito. Il secondo è la nascita del Pd. È stato un fatto politico enorme e che ha finito per scompaginare anche il quadro dall'altra parte. Si è creato un certo movimento che sta riguardando tutti». Senatore, il presidente di Mediaset Confalonieri sostiene che le intercettazioni che hanno riguardato la sua azienda e la Rai sono venute fuori proprio per far saltare il dialogo. È così? «Non vedo il collegamento. Qui c'è un problema grave e che riguarda il duopolio strutturale che rischia di diventare un monopolio di fatto. Va superato e lo dico nell'interesse del Paese. Mi meraviglia che il proprietario di metà delle tv non se ne renda conto. E non si renda conto che questo è un male per tutti. Il suo ostinarsi a fare finta di nulla, questo sì che è un ostacolo al dialogo». Lei è stato consigliere di amministrazione della Rai, che effetto le ha fatto vedere quelle intercettazioni? «È la fotografia di una situazione grave. Ora più che mai bisogna affrontare la riforma tv». Era però in quel cda quando quelle nomine vennero fatte. «Infatti mi opposi in tutti i modi. Andai via su un ulteriore pacchetto che riguardava la Sipra. Questo per dirle che fu un'operazione molto più larga e vasta».