Veltroni ora accelera
L'apertura al dialogo fatta da Silvio Berlusconi ha improvvisamente accelerato un meccanismo che stentava a ingranare. E anche se la versione ufficiale all'intero del Partito Democratico è «tocca al Cavaliere rincorrerci, noi aspettiamo e vediamo», è chiaro che il sindaco di Roma non ha nessuna intenzione di aspettare con le mani in mano. Così, col pretesto di mostrare in anteprima il simbolo del Partito Democratico, il segretario si concede una serie di incontri ufficiali. Un'ora a Palazzo Chigi appunto, poi un convegno per ricordare i 100 anni dalla nascita di Giovanni Amendola (presenti tra gli altri Fausto Bertinotti, Giorgio Napolitano e Pier Ferdinando Casini), quindi al ministero dei Beni Culturali per una riunione della commissione Archeologica Stato-Comune di Roma con il vicepremier Francesco Rutelli e di nuovo a Palazzo Chigi per vedere il sottosegretario Enrico Letta (e forse ancora Prodi). Nel pomeriggio tocca ai capigruppo. Prima al Senato per incontrare Anna Finocchiario e poi alla Camera per un faccia a faccia con Antonello Soro. In mezzo c'è anche il tempo per un piccolo «giallo». Sono circa le 14.30 Silvio Berlusconi lascia Palazzo Grazioli con destinazione ignota. Poco distante, in Campidoglio, si viene a sapere che la riunione della giunta in corso non è presieduta dal sindaco. Si sparge la voce che i due si stiano incontrando lontani da occhi indiscreti. Sono a casa di Goffredo Bettini. No, sono da Letta. I rispettivi staff smentiscono categoricamente qualsiasi incontro. Alla fine viene diramata una nota in cui si spiega che i due si sono sentiti telefonicamente per fissare la data del loro faccia a faccia. Si vedranno venerdì prossimo in «territorio neutro», alla Camera. Prima, però, Veltroni incontrerà il leader Gianfranco Fini. Si conoscono già data e ora (lunedì 26 alle 16), ma non il posto. Insomma le grandi manovre sono iniziate. E poco importa che Palazzo Chigi tema che il dialogo porti a una fine prematura della legislatura, il segretario del Pd rassicura il premier e tira dritto. E c'è chi giura che l'incontro tra Veltroni e Berlusconi, previsto per ieri, sia stato spostato proprio su suggerimento del Professore. E forse non è un caso che rassicurazioni per lui arrivino anche dal palco dello spazio Etoile in piazza San Lorenzo in Lucina. È qui che si celebra «l'evento» della giornata: la presentazione del nuovo simbolo del Pd. Una conferenza stampa convocata in tutta fretta perché, spiega il segretario: «I simboli si presentano così, rapidamente, per evitare che ogni giorno uscisse un pezzetto sui giornali». Veltroni parla da un palchetto di assi di legno coperte da una moquette nera. La sua voce rimbomba nello spazio insolitamente vuoto. Nessuna sedia, solo un nutrito gruppo di fotografi e giornalisti a cui si mischiano i big del partito. Dietro le spalle del sindaco un maxischermo e un telo verde (ormai a tutti gli effetti il colore ufficiale del Pd). Veltroni spiega che è piaciuto a Prodi, alla Bindi, a Letta, ai due capigruppo, a Rutelli, D'Alema, Fassino e anche ad «un gruppo di persone forse meno note, ma ugualmente importanti». «Il simbolo - continua - racconta l'identità di un partito e noi abbiamo assunto l'identità nazionale rappresentata dal tricolore i cui colori rappresentano anche le anime che formano il Pd: il verde della tradizione laica e ambientalista, il bianco del solidarismo cattolico e il rosso della tradizione socialista». Il segretario sottolinea come tutto (il simbolo, la sede, la nomina degli organismi dirigenti) sia avvenuto a soli 24 giorni di distanza dall'Assemblea Costituente di Milano. «Giorni in cui - aggiunge -, politicamente, molte cose sono cambiate. È finita la Casa delle libertà e c'è la consapevolezza che è venuto il tempo delle riforme costituzionali che, per noi, non possono in nessun modo essere disgiunte da quella della legge elettorale». Gli altoparlanti diffondono a tutto volume Beautiful Day degli U2 (ogni riferimento è ovviamente casuale), il velo verde viene tolto e comparte il simbolo: una P verde, una D bianca e il rosso a fare da sfondo alla parte destra. Sotto, la scritta «Partito Democratico» (ma c'è anche la versione senza) separata da un ramoscello di Ulivo. In un angolo della sala Rosy Bindi si concede una battuta: «Speriamo di non doverlo usare presto in campagna elettorale». Il conto alla rovescia è cominciato.