Gianfranco non indietreggia «Silvio faccia autocritica»
Vestito grigio chiaro, cravatta blu con pallini, viso teso. Rari i sorrisi, così come gli applausi. Fini ascolta con attenzione i relatori, ogni tanto chiacchiera con i suoi «compagni di banco» il segretario Udc Lorenzo Cesa (a destra) e il coordinatore nazionale di Forza Italia Sandro Bondi (a sinistra). Quando gli porgono le agenzie che riportano le parole pronunciate da Romano Prodi a Repubblica («Fini ha ragione e la sua mossa è molto importante») e da Pier Ferdinando Casini («Non possiamo andare sull'Aventino») il leader di An le sfoglia con attenzione e annuisce. Poi si alza e va a sedersi vicino al capogruppo di Alleanza Nazionale al Senato Altero Matteoli. I due parlottano un po' e decidono di andare a prendere un caffè. Il percorso, pur breve, è reso accidentato dai militanti che fermano il presidente. Autografi, fotografie. Fini fa tutto senza sorridere, quasi scocciato. Si scioglie un po' solo quando gli portano un bambino di sette mesi. Una battuta («questo lo avete fatto da poco»), una carezza, un sorriso. Ma è solo un'illusione. Lo si capisce appena il leader di An, dopo Cesa e Bondi, sale sul palco. Fino a quell'ora, sono quasi le 12, Fini non ha rilasciato dichiarazioni. Di colpo si spengono le luci in sala. «Abbiamo qualche problema - ironizza il leader di An -, ma non siamo ancora al buio». Sarà la prima e ultima battuta. Anche perché il numero uno della destra ha tutta l'intenzione di mettere le cose in chiaro anche se, commenta, «è un paradosso che certe cose dobbiamo dircele in assemblee pubbliche piuttosto che in riunioni private. Ma non importa, se uno ha le idee chiare, dirlo davanti a mille persone o a quattro cambia poco». Ed eccole le «idee chiare» di Fini. Il principale bersaglio è ovviamente Silvio Berlusconi. «Il governo Prodi - sottolinea - lo abbiamo combattuto tutti in eguale misura dal momento in cui è nato. Chi ha la responsabilità di una coalizione non dovrebbe mai fare le pagelle su chi è buono e chi meno». Poi il leader di An analizza la situazione politica. «L'esecutivo - spiega - è rimasto in vita perché in Parlamento c'è una maggioranza di senatori che dicono stacchiamo la spina, ma non vogliono tornare al voto. Battersi per andare al voto subito è come garantire un'assicurazione sulla vita di Prodi». Cosa deve fare quindi il centrodestra? Fini non ha dubbi: «Dobbiamo andare a vedere le carte dell'Unione». Che tradotto vuol dire: aprire il dialogo sulle riforme e non solo sulla legge elettorale. Anche perché il leader di An è «scettico» che, una volta caduto Prodi, si vada subito alle elezioni. Quindi, si domanda, «è possibile fare in modo che alle prossime elezioni, chiunque vinca, riesca a governare il Paese?» Per Fini la risposta è scontata anche se serve «umiltà da parte di tutti, perché tutti sbagliano e un po' di autocritica talvolta è necessaria». «Non basta - attacca - dire che abbiamo fatto tutto bene e torneremo al governo perché la gente ci ama. Serve un progetto nuovo, ci vuole uno sforzo di analisi da parte di tutti nella Cdl, altrimenti inevitabilmente ognuno andrà per la sua strada. Non dobbiamo far prevalere il nostro piccolo interesse di partito a quelli della nazione. Non sempre è utile urlare ciò che chiede la gente, qualche volta occorre guidarla». Berlusconi è avvisato.