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Colpo di mano in Senato: niente tagli agli stipendi

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[...]superare il secondo giro di boa e i senatori sembrano essersi arresi alla disciplina necessaria per portare a casa il risultato senza dover ricorrere alla fiducia. Certo, davanti ancora ci sono 400 votazioni: tante e che su qualcuna si possa inciampare la maggioranza non solo lo ha messo nel conto ma quasi scaramanticamente lo dice e lo ripete. Intanto passa il provvedimento sui costi della politica: con una manciata di voti oltre quelli sui quali può contare la maggioranza (164), il Senato dice sì al congelamento per cinque anni dell'adeguamento automatico delle indennità dei parlamentari. Contenere i privilegi sì, ma senza esagerare. Poco dopo infatti l'Aula respinge (266 i no) la sforbiciata di Turigliatto e Rossi che avrebbero voluto dimezzare le buste paga di senatori e deputati. Sintonia bipartisan, dunque, come spesso accade su questi temi. La sintonia invece che si registra in casa Unione è tutta merito dell'emergenza sicurezza e della chiusura del centrodestra al dialogo, spiega il Guardasigilli: «Altro che maggioranza bulgara, questa è romena», scherza Clemente Mastella con i giornalisti. L'origine sarà anche la cronaca, nera e politica, fatto sta che il centrosinistra - spiega il presidente dei senatori dell'Ulivo - sta dando «una grande prova di compattezza». Che poi governo e maggioranza vadano sotto su qualche emendamento «fa parte della fisiologia parlamentare». Wait and see, è però il consiglio di Silvio Berlusconi. Il d-day è fissato al 14 novembre, quello è il giorno della verità. Wait and see, replicano dall'Unione. E sorridono. Il timore che la sorpresa in Aula arrivi non potrà mai essere sopito del tutto. Otto ore e passa di votazioni nell'Aula di Palazzo Madama passano comunque senza incidenti. Per un attimo si sfiora il peggio, vale a dire l'ipotesi che il governo esca battuto su un emendamento a firma di Sinistra Democratica sugli studi di settore. L'Unione riesce infatti a incartarsi e si ritrova con molti partiti schierati a fianco di Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale. Ma la discussione scivola sul piano giuridico e così il numero uno dell'Ulivo interviene anche con l'autorevolezza della sua esperienza in materia e sottolinea come si rischi di mettere a punto una norma troppo poco garantista per il contribuente. Alla fine, arriva il lieto fine e un sì bipartisan a una versione condivisa. Per un problema che si risolve, uno però ne arriva. Acquietati gli spiriti della sinistra e dei diniani sui precari, anche se la norma è ancora oggetto di limature e quindi la partita non è definitivamente chiusa, si apre anche al Senato il fronte del tetto degli stipendi per i manager pubblici. Natale D'Amico (un diniano) fa sapere di non essere proprio d'accordo. Non basta quindi l'aver escluso i contratti d'opera, vale a dire gli artisti. Quello riguarda la Rai, ma ci sono molte altre istituzioni che vengono toccate. Ad esempio la Banca d'Italia, di cui Dini è stato direttore generale. Maggioranza e governo sanno che questo sarà un nuovo rompicapo, e che occorrerà rimettere mano all'accordo raggiunto in un primo tempo dal momento che anche l'Udeur ha fatto sapere di non gradire. Ma ogni cosa a suo tempo, come dice il relatore alla finanziaria Giovanni Legnini.

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