Gabriele Santoro [email protected] «Vogliamo e cerchiamo ...
Riassumono il senso di una cerimonia funebre, quella di Giovanna Reggiani, seviziata a morte martedì scorso da un romeno a Tor di Quinto, tutta nel segno della speranza e della riconciliazione. A partire dalla liturgia stessa, celebrata con rito valdese dal pastore Antonio Adamo - la donna uccisa era una praticante attiva della chiesa di piazza Cavour, insegnava il catechismo ai bambini - ma con la partecipazione di due sacerdoti cattolici (oltre al cappellano militare, il parroco don Alessio Gobbin) per volontà del marito Giovanni, ufficiale di Marina. Tra i circa 800 partecipanti alla cerimonia, iniziata alle 11 in punto, diversi esponenti politici: il ministro dell'Interno Giuliano Amato, il prefetto di Roma Carlo Mosca, i leader di An e dell'Udc Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, il sindaco di Roma e segretario del Pd Walter Veltroni, il senatore a vita Francesco Cossiga e i vertici militari, ma soprattutto amici e parenti di Giovanna, la cui morte appare, agli occhi di tutti, ancora un dramma insensato. Nessuno in chiesa parla, rumoreggia, contesta. A pochi giorni dall'aggressione fatale, a solo poche ore dal raid punitivo contro alcuni stranieri a Tor Bella Monaca, il popolo riunito in chiesa sembra alla ricerca, dopo tanta rabbia, di un po' di refrigerio. Di vedere una luce. È a loro che si rivolge il pastore valdese Adamo, quando parla della morte della donna come «una tragedia inspiegabile». «Eppure - ha aggiunto - bisogna resistere con coraggiosa mitezza, bisogna continuare a credere, da cristiani, in un mondo diverso, combattendo il male con il bene e cercando di far sì che la memoria di Giovanna sia un esempio di viva testimonianza di gioia e di amore». «Ora è il tempo della giustizia terrena - ha proseguito la moderatrice dalla Tavola Valdese, pastora Maria Bonafede - che deve fare il suo corso, punendo il colpevole senza cercare capri espiatori». «Oggi il rischio - ha aggiunto - è che si penalizzi una comunità intera, o che, come già è avvenuto, l'odio si scateni contro gli immigrati». Un concetto che monsignor Benvenuti - piglio enfatico e coinvolgente da predicatore d'altri tempi - ha espanso e portato alle estreme conseguenze. «Si alza nella notte la mano di Caino - ha tuonato - e lo cerchiamo fuori, ma Caino siamo noi, che abbiamo avuto una famiglia, cure, istruzione, al contrario di queste persone che hanno fame più del pane della conoscenza che di quello di frumento». Perciò, ha aggiunto rivolgendosi ai politici sui banchi in prima fila, «è facile prendersela con i governanti, con i sindaci e gli amministratori. Cosa possono fare loro se la massa del popolo è distratta, apatica e sonnolenta? Se Caino è colpevole, neanche noi siamo innocenti. Le leggi terrene non servono, se dentro di noi non abbiamo la legge dell'amore, dalla quale si riconoscono i veri cristiani». A concludere la cerimonia è il parroco della basilica di Cristo Re don Alessio Gobbin: «Dobbiamo continuare a credere nella verità - ha affermato - e sperare che il Signore, come ha fatto Giovanna in vita, possa dire bene di tutti noi». Le ultime parole, prima che la folla composta sciami verso l'uscita al seguito del feretro di Giovanna, sono ancora improntate alla speranza: «Buona giornata - ha salutato il parroco - Nonostante tutto».