Maurizio Gallo m.gallo@iltempo.it Non ha colpe. Ma è ...
Non poteva neanche immaginare l'orrore, la ferocia, la violenza brutale e selvaggia che avrebbe trovato sfogo sul corpo della moglie. Riducendolo a uno straccio sporco gettato in un fosso freddo e umido, fagotto insanguinato sprofondato nell'incoscienza muta e buia del coma. Una condizione che ieri pomeriggio è precipitata: alle 19.34, infatti, l'encefalogramma di Giovanna Reggiani è diventato piatto e il suo cuore ha smesso di battere per sempre. Lui non c'era neanche questa volta. Distrutto dalla tragedia che lo aveva schiacciato come un macigno, annichilito dal dolore e stanco per la notte passata in bianco, proprio alle sette se ne era andato a casa per riposarsi un po'. Il capitano di vascello Marina Giovanni Gumieri si sente in colpa perché quella zona era pericolosa e, anche se lei cercava di rassicurarlo e gli taceva i suoi timori, era costantemente preoccupato per la moglie. «Sarei dovuto tornare, non dovevo lasciarla sola, sarei dovuto tornare un giorno prima...», ripeteva ieri a parenti e amici che gli facevano visita nel reparto di terapia intensiva al primo piano del Sant'Andrea e gli esprimevano affetto e solidarietà. Un desiderio che ha coinvolto anche tanta gente comune, semplici cittadini che non conoscevano la vittima ma che sono rimasti colpiti dal dramma. Come Maria Antonietta, che abita vicino all'ospedale ma ieri mattina è andata in Vaticano per prendere un santino di Giovanni Paolo II e portarlo a Giovanna: «L'unica speranza è un miracolo», ha detto. O come Emilia, che è venuta con la figlia Katia e ha lasciato per la donna dei fiori e un augurio: «Ho portato delle orchidee - ha spiegato commossa, consegnando i fiori alla guardia giurata - perché vivano così come Giovanna deve continuare a vivere». Speranze tradite, purtroppo, quelle di Maria Antonietta e di Emilia. In ospedale c'erano anche il padre Mario, 87 anni, ex funzionario dell'Ente Maremma, la madre Francesca, di 78, venuti in mattinata da Grosseto, il fratello e due sorelle, lo zio Paolo Farina, 85 anni, ex prefetto di Agrigento in pensione, che ha parlato di Giovanna come di un'eroina «perché quel delinquente non è riuscito a violentarla e per questo è stata massacrata». E che, quando la cugina della poveretta è arrivata al Sant'Andrea con il figlio di 7-8 anni le ha suggerito: «Non entrare, è meglio che non la vedi, è ridotta troppo male...». Nell'ospedale di Grottarossa sono sfilati, naturalmente, anche uomini politici. Dal sindaco e neosegretario del Pd Veltroni, al presidente di An Fini, dal ministro della Difesa Parisi all'ex ministro Alemanno. Al primo piano sono stati inseguiti da borbottii e commenti non proprio lusinghieri. «Fanno venire in massa i rumeni in Italia e guarda poi che cosa succede», «Io non li farei neanche entrare», «Abito a Ponte Mammolo e l'altra sera c'era uno di 'sti rumeni che molestava una donna, così l'ho presa sottobraccio e ho fatto finta di essere il marito e lui l'ha lasciata finalmente in pace», si dicevano l'uno con l'altro. Verso le otto, saputo della morte di Giovanna, i suoi familiari e l'ufficiale di Marina sono tornati in ospedale. Qualcuno, nei prossimi giorni chiederà all'uomo se vuole perdonare il rumeno che gli ha ammazzato la moglie. In Giovanni, ha assicurato il cappellano militare don Patrizio, «non c'è vendetta, ma senso della giustizia». Sarà vero. Ma parlando con Gianni Alemanno ieri il capitano Gumieri ha chiesto: «Fate in modo che non si ripetano mai più episodi come questo, fate in modo che ci sia una svolta». E parlare di perdono ora è presto. Troppo presto.