Il Professore perde anche la "stampella" Ciampi
Unrichiamo forte da parte di un uomo che alle istituzioni ha dedicato tutta la sua vita (governato di Bankitalia dal 1979 al 1993; presidente del Consiglio «tecnico» dal 1993 al 1994; ministro del Tesoro dal 1996 al 1999). Peccato che l'ex Capo dello Stato, oggi senatore a vita, da mesi non mette piede dell'emiciclo di Palazzo Madama. Insomma, nonostante i moniti, il primo ad aver abbandonato le istituzioni è proprio Ciampi. Secondo gli «statistici» del Palazzo l'ultima volta che ha partecipato al voto è stato lo scorso 28 febbraio quando, assieme Rita Levi Montalcini, Luigi Scalfaro ed Emilio Colombo, confermò la fiducia al governo Prodi. Poi più niente. Il dato non è ufficiale ma abbastanza attendibile. Ciampi, infatti, ha mancato praticamente tutti i voti a rischio per il governo negli ultimi otto mesi. Assente il 30 marzo (fiducia al decreto liberalizzazioni), il 6 giugno (caso Visco), il 13 luglio (emendamento Manzione al ddl Giustizia), il 2 agosto (dl sull'extragettito) e, anche negli ultimi giorni, il suo banco è rimasto desolatamente vuoto. Chi lo conosce bene dice che, alla base della scelta di non partecipare più ai lavori dell'Aula ci sarebbe l'amarezza. Amarezza per gli attacchi che, soprattutto il centrodestra, gli ha riservato fin dall'inizio della legislatura quando l'ex Capo dello Stato, che solo pochi giorni prima aveva lasciato il Quirinale, votò la fiducia al governo Prodi e fu sommerso da fischi e insulti. Da allora l'opposizione non è mai stata tenera con il senatore a vita additandolo anche come il principale colpevole della situazione di instabilità che si registra al Senato («È stato lui a volere che il premio di maggioranza fosse regionale anziché nazionale»). Polemiche che, nel tempo, hanno spinto Ciampi verso il «gran rifiuto». Ma la scelta del senatore a vita avrebbe anche motivazioni politiche. «Gli attacchi del centrodestra - spiega un senatore che lo conosce bene - lo hanno profondamente ferito, ma c'è di più. Come si fa a dire che un Capo dello Stato eletto dalla maggioranza del Parlamento in seduta comune sia meno rappresentativo di un "signor nessuno" che è arrivato qui perché inserito in una lista bloccata dalla segreteria del suo partito? E, soprattutto, come si fa a dire che Ciampi, un uomo che si è sempre posto al di sopra delle parti, tifa per questa o quella fazione?» Sarebbe proprio questo il nocciolo del problema. Carlo Azeglio Ciampi, l'uomo che ha fatto dell'unità nazionale il valore fondante del suo settennato (tanto da richiamarlo più volte nel corso del suo discorso di insediamento), non vorrebbe più essere identificato con un governo che, ormai, non gode più della fiducia degli italiani. Insomma, anche Ciampi, alla fine, avrebbe deciso di abbandonare il Professore. E non è un abbandono da poco, visto che, in questi mesi, l'ex Capo dello Stato non è certo stato fermo. Qualche giorno dopo il discorso di Torino che investì ufficialmente Walter Veltroni come segretario del Pd, in un'intervista a Repubblica, il senatore a vita non lesinò lodi al sindaco di Roma. «Penso che sia una speranza - disse -. Ha 53 anni. Un cinquantatreenne è comunque meglio di un settantenne no?» Parole che in molti lessero come un avviso di sfratto al Professore. E non finisce qui. L'ex Capo dello Stato, anche se non ufficialmente, sarebbe molto vicino politicamente (non solo per una vecchissima amicizia) alle posizioni del senatore Lamberto Dini che, da qualche mese, sta preoccupando e non poco Palazzo Chigi. Se a questo si aggiunge il legame preferenziale con il governatore Mario Draghi (direttore generale al Tesoro sotto la sua guida) che in molti candidano già come Presidente del Consiglio per il dopo-Prodi, il cerchio si chiude. E poco importa che Ciampi non abbia truppe di senatori ai suoi piedi. Il suo abbandono è un segno ulteriore che, per Prodi, la fine è imminente.