Da oggi Prodi può cadere Torna il Senato da brivido

Anche se persino qualche suo collaboratore si prepara a fare gli scatoloni. Da oggi al premier non resta che abbracciare il rosario, sperare e aspettare. Inizia una serie a dir poco di fuoco. Nel pomeriggio si votano le pregiudiziali al decreto legge fiscale collegato alla Finanziaria. Se solo una passa, il decreto è finito e la Manovra crolla. Domani invece si passa agli emendamenti: non sono molti, ma alcuni sono davvero insidiosi. Come quello che hanno presentato i due dissidenti ulivisti, Bordon e Manzione, sulla riduzione dei ministeri e che potrebbe essere sostenuto anche dal centrodestra. Se sarà superato anche il fuoco di fila degli emendamenti, si arriverà a giovedì quando sarà votato tutto il provvedimento. Chiuso il capitolo decreto fiscale, Prodi avrà un po' di respiro. Ma solo un po'. Il 5 novembre si riparte, di nuovo a Palazzo Madama, questa volta per discutere della Finanziaria vera e propria. Saranno dieci giorni di passione perché il programma prevede che la sessione di bilancio al Senato termini il 15: non a caso Berlusconi ha convocato le piazze per il 17 per chiedere direttamente il voto, sicuro com'è che quel giorno Prodi sarà solo un ricordo. Finita questa ondata, se il Professore avrà retto anche a questa prova, tutto il blocco Finanziaria andrà alla Camera dove, se ci sarà solo una modifica, anche solo una virgola, tornerà al Senato. E una modifica potrebbe esserci perché l'idea prevalente negli ambienti del ministero dell'Economia è quello di accorpare il protocollo del welfare alla Finanziaria quando questa arriverà a Montecitorio. Tutto in un maximendamento con fiducia da rispedire poi a Palazzo Madama. Nel frattempo proprio il protocollo, sarà esaminato dalla Camera e la sinistra radicale potrebbe affondare i suoi colpi visto che chiede di cambiarlo seppur parzialmente. Tutto finito? Macché. Prodi a quel punto avrà superato forse gli ostacoli più grandi. Ma il suo cammino è disseminato di trappole che la Cdl, ma anche l'Unione, gli stanno preparando. Una per esempio è la mozione che chiede il ripristino del nucleare. È un'iniziativa annunciata da tempo che il leader dell'Udc, un vecchio marpione dei lavori parlamentari, non ha ancora tradotto in pratica. Nel senso che non ha ancora presentato la mozione né alla Camera né al Senato. «Aspettiamo il momento più propizio», fanno sapere da via Due Macelli. Si attende prima di capire insomma come si evolverà la situazione. Anche perché, giurano per esempio a Forza Italia, quel testo potrebbe avere la maggiorana persino alla Camera. Fin qui tutto ciò che è programmato. Poi ci sono le eventuali e varie, le improbabilità, gli imprevisti. Uno dei campi minati è quello delle riforme istituzionali. Poi c'è il fantasma del referendum che aleggia. Se non ci sarà la riforma elettorale, si andrà alla consultazione popolare, che per i piccoli partiti significa chiudere i battenti, scomparire. E l'Unione si regge proprio sui piccoli come Udeur, Italia dei Valori, socialisti, liberaldemocratici di Dini. Non a caso proprio tra i piccoli sperpeggia l'idea scabrosa di far cadere subito il governo in modo da andare a votare all'inizio dell'anno prossimo e assicurarsi la vita almeno fino al 2013. Ipotesi, ipotesi, ipotesi. In queste ore se ne fanno e delle più varie. Di sicuro a gettare altro fuoco sulla benzina c'ha pensato Giorgio Tonini, il ghostwriter di Veltroni. Proprio nel momento in cui da Fassino a Rutelli, passando per Rutelli e Mastella, con la benedizione di Bertinotti e Marini sembra avvicinarsi un'intesa sul modello elettorale tedesco, il fedelissimo del nuovo leader del Pd avverte: no, meglio il referendum. Se questa fosse la linea anche di Veltroni (che ieri ha contattato personalmente alcuni senatori perplessi e ha visto Prodi) il governo non ha nessuna chance di rimanere in piedi per un altro minuto.