La destra processa il '68: «Fu un disastro»
Mase la contestazione si spense quasi un decennio più tardi nella violenza di piazza e nel terrorismo, i suoi effetti continuano ancora oggi. E non sono positivi. L'impeto libertario del movimento, la spinta alla modernizzazione dell'Italietta post-contadina, la lotta per una società meno autoritaria, per una scuola meno nozionistica e una famiglia più aperta alle istanze delle nuove generazioni naufragarono nell'eccesso e nell'estremismo. Il risultato del «vietato vietare» fu l'assenza totale di qualsiasi autorevolezza delle figure portanti della società, l'egualitarismo ad ogni costo e l'imposizione del «6 politico» all'università incepparono i meccanismi della crescita culturale e meritocratica, il «dovere» di sperimentare si tradusse nella diffusione di massa della droga, l'incitazione al «tutto subito» contribuì a rafforzare l'ipotesi di una rivoluzione armata e giustificò, almeno all'inizio, la nascita del brigatismo rosso. La sinistra italiana ha sempre rifiutato di fare i conti con il '68 e le sue conseguenze. Qualche settimana fa, uno dei suoi leader, Massimo D'Alema, lo ha ricordato in termini del tutto edulcorati, lanciando un accorato e acritico appello ai giovani: «Fatevi sentire, lottate come facemmo noi nel '68». Però la resa dei conti con il «lato oscuro» di quel fenomeno non è mai stata neppure tentata. E, alla vigilia del quarantesimo anniversario della rivolta giovanile, il vuoto resta non colmato. Ci sta provando la Destra, a partire dal presidente francese Nicolas Sarkozy fino a quello di An Gianfranco Fini. In questo quadro si colloca l'iniziativa di Maurizio Gasparri, che coglie l'occasione della prevedibile «orgia commemorativa» ormai alle porte per promuovere una serie di incontri sui «danni» che il '68 ha prodotto in Italia. Sarkò si è autoproclamato «l'anti-Sessantotto», sottolineando che la Francia è ancora ostaggio del «gauchisme» che occupava la Sorbona e invocava l'immaginazione al potere. «Gli eredi del '68 fanno l'apologia del communitarismo - ha detto - denigrano l'identità nazionale, attizzano l'odio della famiglia, della società, dello Stato, della nazione, della République». Da allora, ha continuato il presidente francese, «non si può più parlare di morale in politica» e ci è stato «imposto il relativismo morale e intellettuale». Gli eredi del '68 hanno sancito che «non l'allievo e il maestro si equivalgono, che non bisogna dare voti, che si può vivere senza una gerarchia di valori». Una tesi che è piaciuta molto alla destra italiana. Sarkozy, ha spiegato Fini, «ha infranto il totem della nazione dicendo che il '68 ha rappresentato una stagione negativa, l'inizio di una cultura nefasta fatta di diritti senza doveri». Poi ha proseguito: «Ci sono pseudo-culture, come quella libertaria post sessantottina, di cui esistono ancora tracce nella società italiana e non solo, che diventano funzionali a chi ha forti utili dalla produzione o dalla diffusione di sostanze stupefacenti». E Gasparri ha intitolato la sua iniziativa «Sfida al '68». L'obiettivo della serie di convegni organizzati dall'associazione «Italia protagonista» presieduta dal deputato di An è, infatti, «mettere in risalto i danni prodotti dalla cultura della contestazione, effetti che durano ancora oggi e condizionano la nostra vita e la politica». Da sinistra, invece, continua a giungere solo un complice silenzio.