di PINA SERENI UNO SCHIAFFO e una carezza.
Critica, pizzica, ma non rompe. Anzi. Nel corso dell'assemblea dei parlamentari della Cdl, nella sala della Regina a Montecitorio, il Cavaliere fa anche un'importante ammissione: è vero, ci sono due opposizioni. Anche se le parole non sono poi così chiare, il leader della Cdl confessa che esiste «un regime di separazione» con l'Udc. «Prendiamo atto che questa forza politica per il momento non consente di considerarla schierata al nostro fianco» sintetizza il Cavaliere. Che torna sul quanto accaduto a proposito del decreto missioni militari internazionali e sull'astensione di Forza Italia, An e Lega al Senato spiega: «Se non fossimo stati certi che il decreto sarebbe stato approvato, avremmo votato in maniera differente, su questo non c'è il minimo dubbio». La «sentenza» di separazione provvisoria viene pronunciata dal socio di maggioranza del condominio nato sulle ceneri del Polo. Al tavolo, accanto a lui, annuiscono Gianfranco Fini, i capigruppo del Carroccio e i vertici degli altri partiti rimasti nella «casa». «Anche senza l'Udc - rassicura subito il Cavaliere - abbiamo una maggioranza di oltre il 52%». E dopo aver chiarito le ragioni dell'astensione sull'Afghanistan («Abbiamo interpretato i sentimenti degli elettori, ma sapevamo che il decreto sarebbe passato»), l'ex premier attacca frontalmente il leader centrista. «Lo strappo di Pier Ferdinando è stato doloroso, ma ci ha anche danneggiato come immagine», è la premessa. Poi l'affondo: «Casini immagina di costruire un nuovo grande centro e magari ha nostalgia della politica dei due forni o pensa di essere come Craxi e di fare l'ago della bilancia, ma si dimentica che il grande centro esiste già e si chiama Forza Italia e che la moralità della politica impone di rispettare gli impegni con gli elettori». Poi torna calmo e spiega: «Le abbiamo tentate tutte ma ora che siamo in regime di separazione, non per colpa nostra, andiamo avanti con la Cdl». Insomma, il Cavaliere ci tiene a sottolineare che non si è trattato di uno sfratto, ma di abbandono del tetto dell'alleanza da parte di Casini. L'ex premier resuscita anche la federazione. Ricorda la disponibilità di Fini e annuncia a sorpresa che anche Umberto Bossi «lo ha autorizzato a muoversi in questa direzione». Poco importa se qualche ora dopo il Senatur bolla il progetto come una «stupidaggine». Berlusconi sottolinea poi che è «doveroso e urgente» mandare a casa il governo Prodi, ma è per i centristi il messaggio finale. Ed è un tentativo di apertura: «Mettiamo in campo ancora tanta pazienza per cercare di convincerli a restare con noi», dice ai parlamentari. Ma le sue parole vengono interrotte dai brusii dei più. Tanto che il Cavaliere replica: «Per cortesia, non possiamo regalare un vantaggio così agli avversari». E ricorda i due milioni e 400mila voti ottenuti dai centristi. Per questo, lasciando Montecitorio, non fa che precisare, ammorbidire, smussare. «Ci auguriamo che tornino sui loro passi», dice alle telecamere. «Non sono preoccupato per le amministrative, anche perchè su questo l'alleanza con l'Udc tiene», sottolinea. Il tentativo è quello di confermare le intese locali per le elezioni del 27-28 maggio, anche se non c'è certezza sulla risposta della base della Cdl. Come dimostra il caso di Frosinone, dove esponenti di An si dicono indisponibili a sostenere il candidato sindaco dell'Udc anche se indicato dalla coalizione. Anche Fini non lesina frecciate ai centristi. «La Cdl c'è ed è ben determinata», dice il leader di An all'assemblea dei gruppi, sottolineando che «non ha neanche problemi di leadership». Sprona tutti a lavorare per «unire e non per dividere», ma sottolinea anche che «non si deve fare come il cane che rincorre la lepre, ma come la lepre che indica la strada». Come a dire: ora basta inseguire Casini. Il più secco con i centristi, comunque, è Roberto Maroni. Il capogruppo leghista evita accenti polemici, spiegando che così gli ha chiesto Bossi, ma chiede a Berlusconi di chiarire co