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Ma gli americani insistono

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Parisi risponde agli Usa: «Restiamo a Herat e Kabul»

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Si tratta delle limitazioni che ciascun Paese impone per l'impiego delle proprie truppe impegnate in operazioni internazionali. Per le nostre in Afghanistan prevedono che il contingente nazionale non possa essere impiegato al di fuori della propria zona di competenza, cioè Kabul ed Herat, dove sono distribuiti i circa 2.000 militari che partecipano alla missione Isaf. «Non abbiamo elementi che ci spingano a modificarli e quindi sono automaticamente confermati. Se dovessero cambiare degli elementi li valuteremo», ha spiegato Parisi. Riguardo alle dichiarazioni dell'ambasciatore Usa Ronald Spogli, secondo cui il dipartimento di stato ha chiesto agli alleati di eliminare o ridurre i «caveat», Parisi ha precisato: «Non ho parlato con l'ambasciatore Spogli, né lui ha parlato con me». Ma ieri gli Usa sono tornati all'attacco. E hanno ribadito che la rimozione o riduzione dei caveat da parte degli alleati impegnati in missioni militari comuni, in Afghanistan e altrove, è da tempo una richiesta sul tappeto. Il portavoce del Dipartimento di Stato Tom Casey, rispondendo a una domanda sulle dichiarazioni fatte lunedì da Spogli, si è limitato a illustrare in linea generale la posizione Usa: «È una posizione che teniamo da tempo ed è condivisa anche dalla Nato». Secondo il portavoce, i caveat «rendono più difficili le operazioni militari» e «meno equa» la ripartizione dei compiti tra le forze impegnate nelle missioni congiunte.

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