Il Cav decide di non rompere con l'Udc. La verifica ci sarà dopo le amministrative
Non c'è stato nessun diktat della Lega, di nessun altro agli alleati». La voce di Berlusconi irrompe nel pieno delle votazioni al Senato sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Il Cavaliere è appena arrivato a Roma. È sera e a Palazzo Grazioli arrivano l'eco degli attacchi del segretario dell'Udc Cesa («Forza Italia è condizionata da Bossi e da Fini») ma anche le dichiarazioni del sottosegretario di Stato americano Nicholas Burns sull'«utilità dell'impegno militare in Afghanistan» e il rispetto dell'impegno da parte degli alleati. Non solo. Il segretario Ds Fassino calca la mano sul voto dell'Udc con l'intenzione di mettere un cuneo nel centrodestra inasprendo la spaccatura. Berlusconi ha così sentito di dover parare la palla su più fronti. Prima di tutto ribadendo la compattezza della Cdl a parte lo smarcamento dell'Udc. Sulla posizione di Casini e il rapporto con la Cdl Berlusconi ha volutamente glissato. «fatemi un'altra domanda» è la risposta a chi davanti a Palazzo Grazioli gli chiedeva se è recuperabile il rapporto con l'Udc. Poi l'ex premier ha rimarcato che l'astensione non crea problemi nei rapporti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Dentro Forza Italia si dice che Berlusconi abbia sentito i suoi contatti a Washington per spiegare che la decisione dell'astensione non vale come un cambiamento di linea politica sulla questione afghana. E in serata il Cav ha ribadito che «i nostri alleati sanno benissimo che si tratta di un problema che riguarda l'opposizione e il governo del nostro Paese e sono al corrente delle ragioni del nostro comportamento». Berlusconi poi è tornato a sottolineare il significato politico del voto: «Un Governo che non ha una vera maggioranza, che non è autosufficiente, non è legittimato. E questo deriva dal fatto che nello scontro all'interno dell'Unione vincerà sempre la sinistra estrema che considera ogni iniziativa degli Stati Uniti come un atto di imperialismo». Anche se Berlusconi cerca di mascherare la frattura nella Cdl e non portare alle estreme conseguenze la posizione dell'Udc, per il centrodestra i problemi cominciano ora. Il voto dei centristi di Casini accompagnato da non poche schermaglie con gli alleati non sarà senza conseguenze. La resa dei conti nel centrodestra ci sarà ma non ora, bisogna ancora ingoiare i rospi, è quello che dicevano alcuni senatori fuori dell'Aula di Palazzo Madama mentre erano in corso le votazioni sugli emendamenti. È vero che l'Udc ha sostenuto l'ordine del giorno presentato dal presidente dei senatori di Forza Italia Renato Schifani, ma questo non è stato altro che un modo per rendere meno doloroso il voto finale. Che tra Casini e Berlusconi il rapporto sia arrivato al capolinea è sotto gli occhi di tutti. Eppure il Cavaliere vuole aspettare prima di tagliare definitivamente anche se, come dicono in molti dentro il partito, è tentato di farlo. La scelta dell'astensione invece del No secco, risponde ad una precisa equazione: mettere in evidenza le contraddizioni della maggioranza facendo emergere che non è autosufficiente sulla politica estera, marcare la distanza da Casini ma senza rompere definitivamente. Con l'Udc i conti si faranno dopo le amministrative. Alcuni parlamentari azzurri indicano questa data come uno spartiacque per il centrodestra. Berlusconi vuole capire se i sondaggi che lo danno in ampio vantaggio anche senza l'Udc si traducono in voti reali e soprattutto se maturerà quel partito del 10% che Mastella vorrebbe creare con Casini. Schifani è riuscito a ricompattare con fatica la Cdl attorno al suo ordine del giorno (respinto con 160 voti contrari e 155 a favore). È passato invece a larga maggioranza (con 311 sì, 3 voti contrari) l'ordine del giorno presentato da Roberto Calderoli per garantire la sicurezza dei militari italiani. L'Udc nel pomeriggio aveva polemizzato con Forza Italia proprio sull'iniziativa della Lega dicendo che Berlusconi si fa dettare la linea dal Carroccio. Immedi