E l'ala radicale teme lo spettro neocentrista
Il presunto «scassaquindici», infatti, non funzionerebbe dal punto di vista dei numeri e, quindi, non è un'ipotesi tecnicamente verosimile. La possibilità concreta, e paventata, è invece quella delle maggioranze variabili. Un'idea, tra l'altro, «promossa» per la prima volta qualche settimana fa dal ministro dell'Interno Giuliano Amato e respinta ufficialmente dalla sua stessa coalizione. Il supporto estemporaneo e su argomenti specifici di parti dell'opposizione alla maggioranza, però, viene considerato dall'ala estrema dell'Unione come una marcia d'avvicinamento di Casini all'appoggio esterno al governo. Una manovra che modificherebbe la fragile geometria interna del gruppo di partiti che guida il Paese e rappresenterebbe, secondo molti, l'anticamera alle larghe intese. Le paure di Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani emergono chiaramente dalle interviste pubblicate ieri ai segretari di Prc e Pdci. «Non ci sono le condizioni per maggioranze variabili», ha precisato Franco Giordano, che ha aggiunto: «Spinte neocentriste, mai sopite e per certi versi legittime, sarebbero drammatiche». Gli ha fatto eco Oliviero Diliberto: «Gli agguati del Centro mettono in pericolo Prodi», che deve indurre «Mastella e tutti i centristi a votare solo gli ordini del giorno della maggioranza». La temuta «deriva neocentrista» dell'esecutivo è sentimento comune a sinistra dei Ds. «Accade spesso nei passaggi difficili della maggioranza che microcomponenti centriste rischino di mettere in difficoltà il governo, e l'obiettivo è chiaro: spostare il baricentro dell'esecutivo più a destra per rendere ininfluenti le spinte della sinistra alternativa e, in particolare del nostro partito - sottolinea il senatore di Rifondazione Claudio Grassi - Questa, tuttavia, è un'operazione che provocherebbe la caduta di Prodi e, quindi, le elezioni anticipate». Per Grassi, anche se il governo non fosse autosufficiente sul rifinanziamento delle missioni estere non ci sarebbe crisi. «È una questione che si pone con insistenza solo ora - osserva - Alla fine degli Anni '90 la missione in Albania fu votata da destra e sinistra insieme e nessuno si scandalizzò. E nella scorsa legislatura la Costituzione Ue passò con i voti del centrosinistra, mentre la Lega si oppose. Dov'è, allora, il problema?». E il problema non è rappresentato nemmeno dalle regole d'ingaggio (che possono essere variate solo in ambito Nato), e dai «caveat» per le truppe tricolori, che costringerebbero a riscrivere il decreto di rifinanziamento, ingrossando le fila dei dissidenti. Il problema è l'Ordine del giorno targato Udc. I tempi per la sua presentazione sono scaduti ma ieri il senatore D'Onofrio ha chiesto al presidente Marini una deroga e, probabilmente, l'otterrà (stesso discorso per il liberale unionista Zanone, che di Odg ne avrebbe preparati addirittura due). Il suo contenuto è ancora segreto. Se confermerà la «gabbia» autodifensiva del nostro contingente, parte della sinistra radicale potrebbe anche votarlo. Se prevederà un aumento di soldati, no. Ma se il decreto passa con i voti dei centristi per la «ribellione» di alcuni senatori dell'estrema sinistra, l'ipotesi della maggioranza variabile diventerebbe di fatto realtà. E le crepe interne all'Unione si trasformerebbero in una vera e propria faglia di Sant'Andrea. [email protected]