Il premier da Berlino
Ma non nasconde un certo fastidio per il contesto politico in cui si sta sviluppando il dibattito in Italia. «Non può essere un balletto, non può diventare un argomento per dibattere sulla caduta del governo», sottolinea, rispondendo indirettamente a Silvio Berlusconi, nel corso di una lunga conferenza stampa al termine del Consiglio europeo straordinario per la celebrazione dei Trattati di Roma. L'Afghanistan ha fatto capolino in tutti e due giorni delle celebrazioni europee, è stato un argomento che ha accompagnato il presidente del Consiglio nella trentasei ore berlinese in tutti i modi possibili. A partire dalle polemiche tra Forza Italia e Udc sfociate, proprio sabato a Berlino, a margine del vertice del Ppe, nella conferma da parte di Pier Ferdinando Casini che il suo partito dirà sì al provvedimento, prendendo così nettamente le distanze dalla linea attendista di Silvio Berlusconi. Il premier vive queste ore «senza preoccupazioni» in attesa della scadenza di martedì: «Ci sono già stati 560 voti positivi alla Camera. Nel frattempo non è cambiato nulla nei contenuti del provvedimento. E allora, come si può giustificare un voto diverso? Vorrei anche capire se ci si rende conto che un "no" porterebbe al ritiro dei militari di tutte le missioni. Voglio proprio vedere chi si assume la responsabilità di far chiudere le nostre missioni all'estero». Quindi, «basta balletti» su delicati temi di «politica internazionale» che investono il «ruolo» del nostro paese e la «dignità nazionale», spiega il professore chiarendo, nell'ordine, che il tema Afghanistan non è stato oggetto di conversazione nel Corso del vertice berlinese, così come non è stano neanche sfiorata con Tony Blair la spinosa questione del rapimento del giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo. Il presidente del Consiglio non ha aggiunto nulla di nuovo neanche sull'ordine del giorno, annunciato dall'Udc, relativo alle regole di ingaggio dei militari italiani in Afghanistan: «Per ora non ci sono discussioni su questo», taglia corto confermando quando già spiegato sabato in tarda serata, al termine della prima giornata di festeggiamenti dei trattati di ROma e cioè che «il problema non si è posto».