di MAURIZIO PICCIRILLI D'ALEMA cede e apre a un'azione più inciva in Afghanistan.
Malumori che si erano materializzati anche ieri mattina quando il portavoce della Rice, Sean McCormack ha detto ai giornalisti che «La Rice ignorava l'accordo tra Roma e Kabul», chiarendo senza appello: «Noi non negoziamo con i terroristi». Il portavoce ha sottolineato che la liberazione dei talebani «potrebbe avere conseguenze potenziali involontarie», ma si è rifiutato di fare esempi concreti su tali possibili «conseguenze». La Farnesina rispondeva che le «critiche erano inaspettate» ma in fondo «non erano una novità». Poi alle 18 ora italiana telefonata tra D'Alema e la Rice. Sia da parte americana che italiana si tende a smorzare i toni: la guerra deve essere fatta ai talebani non tra alleati. Così gli Stati Uniti hanno definito «costruttivo» il colloquio di lunedì scorso a Washington tra il segretario di stato Condoleezza Rice e Massimo D'Alema e sottolineato che, ieri nella telefonata tra i due ministri, «si è convenuto sulla natura positiva ed importante dei legami bilaterali tra l'Italia e gli Stati Uniti». Del resto la posizione di Washington è da sempre quella di non «scambiare ostaggi o fare altre concessioni ai terroristi». Il ministro D'Alema si è detto diponibile e interessato «a discutere dentro l'Alleanza Atlantica norme comuni di comportamenti in questi casi per evitare, oggi come in precedenza, le incomprensioni avute». Washington però non transige: «in futuro nessuna concessione a negoziati sotterranei». E 'Alema ammette che alla cena al ristorante «Aquarelle» di Washington non disse nulla alla sua ospite. L'Italia incassa la «fiducia sotto condizione» degli Stati Uniti che il responsabile della Farnesina spiega con «abbiamo concordato di fare uno statement comune». Accordo che passa attraverso un diverso impiego dei nostri soldati in Afghanistan che Massimo D'Alema spiega con una metafora sottile: «È del tutto evidente che il governo fornirà alle forze armate tutti i mezzi che riterranno necessari per la sicurezza dei nostri militari e del territorio». Il titolare della Farnesina ha spiegato che sarà lo Stato maggiore delle forze armate a fare «una valutazione sull'eventuale necessità di assetti di protezione di fronte ai rischi che corrono i militari italiani». Quindi i nostri militari dovranno affrontare un nuovo tipo di operazioni. Più esposte evidentemente. In serata infatti D'Alema ha partecipato a un vertice con il ministro della Difesa, Parisi, e l'ammiraglio Di Paola capo di Stato maggiore. D'Alema si piega ai «cordiali consigli» della Rice. Resta il fatto che sull'affaire Mastrogiacomo il ministro degli Esteri del governo Prodi gioca la carta delle «tre scimmiette». «Non abbiamo né trattato né liberato nessuno», precisa il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema nel salotto televisivo di «Porta a porta». Il Governo italiano, spiega il vicepremier, non ha trattato con nessuno perché si è limitato a ricevere da un'organizzazione umanitaria (Emergency ndr) una lista con i nomi delle persone che i sequestratori del giornalista di Repubblica volevano vedere liberi. «Abbiamo trasmesso questa lista al Governo dell'Afghanistan, che ha ritenuto che tali persone non avessero un carattere di pericolosità tale da non consentire che venissero messe in libertà», sottolinea il capo della diplomazia, insistendo sulla sovranità del Governo di Kabul nella scelta di liberare i prigionieri. «Di questo siamo grati», aggiunge D'Alema. Ma Emergency non gradisce e con un comunicato precisa di essere entrata nella vicenda del sequestro Mastrogiacomo «su richiesta del governo italiano, ha agito da tramite fra governo italiano e sequestratori, agendo in stretto contatto e totale trasparenza con il governo stesso». m.piccirilli@iltempo.it